40

1.5K 83 4
                                    

Mi vesto, mi cambio, metto il doppio del deodorante perché sto sudando come se fosse mezzogiorno a ferragosto.

Prendo lo skate sottobraccio ed esco di casa senza dire nulla ai miei, se non un "torno più tardi" urlato con un piede già sul pianerottolo.

Corro giù per tre piani di scale. Vorrei non essere così smaniosa di rivederla, ma non posso controllarlo. Il pensiero di trovarmela davanti, di lì a poco, di sentire le sue parole rivolte a me – e non ad altri – mi fa sentire come se stessi tornando a respirare dopo una lunga apnea.

Faccio la strada imponendomi la calma. Passo dalla Rocca Roveresca, cercando di evitare le famiglie che vanno in giro coi figli a prendere il gelato dopo cena. C'è aria di estate, una rilassatezza intorno a me che vorrei assorbire.

Tengo il fiume Misa alla mia sinistra e rallento, con un piede sul deck e l'altro che penzola pigro a pochi centimetri dall'asfalto. Ogni tanto mi do una lieve spinta, ma al pensiero di arrivare in anticipo e dover aspettare Carlotta mi fermo.

Non voglio essere la prima. Non voglio stare lì, a guardare l'ora e a pensare: ecco, mi ha dato buca. Stavolta dev'essere lei a pensare a me come io penso a lei.

Così scendo dallo skate e proseguo a piedi. Quando arrivo e la trovo davvero lì, una parte di me se ne stupisce. Il sollievo mi raddrizza le spalle.

È seduta vicino al mezzo busto di Penelope: una donna nuda, coi capelli lunghi appiccicati all'addome, la testa bassa di chi sorveglia un mucchio di lucchetti erosi dalla salsedine e aspetta un amore che forse durerà. O forse no.

Accanto a Carlotta intravedo una scatola di pizza (potrei giurarci, sarà fredda) e lo skate, incastrato sugli scogli non lontano dai suoi piedi.

Più mi avvicino, più mi rendo conto che è diversa.

Lei mi vede, e allora capisco. Non è truccata: la mia versione preferita di Carlotta. Sulle spalle arrossate ha il segno delle bretelle, due strisce bianche e sottili. Niente braccialetti, niente smalto, niente rossetto Etna Red. Niente persone attorno a lei.

Solo Carlotta. Spogliata di ciò che, con me, non serve.

«Sono arrivata un po' in anticipo» comincia alzando il cartone della pizza. «Ormai è fredda, scusami».

Stento a tenere le labbra serrate in una smorfia seria, rabbiosa. Poi mi siedo vicino a lei.

«Tranquilla. Tanto non ho fame».

Mi sorride, mi guarda da vicino. Io ricambio. Mi rendo conto che le trema una palpebra.

«Ho così tante cose da raccontarti» dice addentando l'ultima fetta.

«Non ne avresti così tante se non avessi smesso di parlarmi».

«Lo so. Sorry. Mi puoi perdonare?».

«Per cosa, esattamente?» la incalzo. «Per avermi fatta passare per la scema del villaggio?».

«No, tu non sei la scema di nessuno».

«Hai ragione, cazzo» rispondo. «Non sono la scema di nessuno, neanche la tua. Quindi non pensare che io possa passare sopra questo mese di merda solo perché "ti dispiace". Non è così facile. Non funziona così. Sorry non basta».

Sto per buttarle addosso tutto il rancore che ho covato in queste settimane, quando lei mi anticipa.

«Ti ho tradita» dice.

«Sì, l'hai fatto».

«Ti ho delusa» dice.

«Sì, hai fatto anche questo».

Ocean EyesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora