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Me ne sto di fronte allo specchio del bagno con questo enorme vulcano che ha deciso di nascere sulla mia fronte, stanotte. Proprio al centro.

Lo odio. Lo odio e devo cancellarlo. Andare a scuola così è impensabile. Mi avvicino allo specchio e cerco di strizzarlo, ma il bastardo resiste. Eccome. Così io mi accanisco ancora di più, e il risultato è anche peggio di prima: ora c'è una montagna rosso fuoco sulla mia pelle, circondata da un alone rosa con una puntina di sangue in cima. Ottimo.

Mi lavo la faccia e penso a una soluzione alternativa. Magari nei trucchi della mamma c'è un correttore. Io non ne ho mai usato mezzo, quindi posso solo sperare di trovarne uno adatto alla mia carnagione.

Be', lo trovo. Ma non appena lo stendo sopra il mio monte Fuji mi è subito chiara una cosa: non sono abbastanza arancione, per questo coso. Forse Trump lo è, io no di certo.

Che schifo.

Mi guardo e penso solo alla faccia che farà Carlotta nel vederlo. So che sarà educata e non me lo farà notare, ma il suo sguardo ricadrà sulla mia fronte ogni due secondi. Cristo santo, mi sento Tensing di Dragon Ball.

Bene. Ok, mi dico. Non posso cancellare questo obbrobrio. Fanculo, allora resta pure lì, prima o poi dovrai sparire. Per ora mi accontenterò di un cerottino rotondo – che di sicuro è più color carne del correttore di mia madre – e lo nasconderò così. In modo del tutto inutile. Perché tutti sapranno che c'è qualcosa di brutto, lì sotto, ma nessuno saprà esattamente cosa.

Arrivo a scuola con lo skate. Trovo Daria e Carlotta al cancello.

«Ehilà» comincio.

«Whoa, whoa, amica. Hai un bottoncino di accensione in fronte, in caso non te ne fossi accorta».

«Grazie Daria. Come farei a senza di te».

Carlotta sorride e prende le mie difese. «So what? Abbiamo tutte una pelle schifosa a un certo punto del mese, no?».

Be', tu no.

«Capita. Sai cosa ti ci vuole?» mi chiede passandomi una mano intorno alle spalle. «Una bella maschera idratante. Se vuoi passo da te dopo scuola per lasciartene qualcuna, che dici?».

Eh, che dico? Dico che lo sta facendo di nuovo.

Mi chiedo se ne sia consapevole. Sa di nutrire le mie speranze, quando fa così? Quando mi risponde in un modo che sembra alludere a cose che solo io e lei sappiamo?

Tipo adesso. È chiaro che si sta riferendo a quella volta che è venuta a casa mia, con le maschere. Magari è un suo linguaggio in codice per dirmi: so che quel giorno è scattato qualcosa, tra me e te.

E poi, tutti questi contatti fisici. Mi prende la mano, mi mette le braccia intorno alle spalle, mi aggiusta i capelli. Non mi pare che lo faccia anche con Daria. Possibile che il suo sguardo a me sorrida diversamente?

Per non parlare di quella volta che Daria le ha chiesto in prestito un rossetto, e lei ha risposto ridendo: «Sarebbe un po' strano se ci prestassimo cose che mettiamo sulla bocca entrambe, non credi? Se vuoi un bacio, dillo e basta!». E poi mi ha fissata. Così io ho subito pensato al Labello alla ciliegia, nei bagni della scuola, e che ancora conservo.

O forse no. Forse non mi ha fissata. Magari mi sbaglio e tutte queste cose succedono solo nella mia testa perché io voglio che accadano. E in realtà non accadono.

Che ansia. Non ci dormo la notte. Non bastavano i dubbi su me stessa. Ora ci si mettono anche quelli su Carlotta.

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