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Mentre me ne sto lì seduta, sotto una tettoia che mi fa sudare il doppio di quanto dovrei, la sento arrivare.

È da sola.

«Ehi, eccoti» comincia.

Mi uccide quando usa questa voce mielosa e colpevole insieme. Chiudo gli occhi. Sono esausta. Poi mi giro verso di lei e forzo un sorriso.

«Sei stata brava» dico. «Ora sei un elfo libero».

Perché cerco di compiacerla anche quando ce l'ho a morte con lei? Dov'è la mia spina dorsale, maledizione?

Carlotta deve captare il contrasto tra la mia voce e la tristezza nei miei occhi. Cambia faccia, spegne l'allegria, mi si siede accanto. Mi prende una mano e io un po' la odio, un po' no.

«Non pensare che mi sia dimenticata di te» dice.

«Macché. Penso solo che ti sei dimenticata di dirmi la data della tua partenza». Faccio una pausa, ma alla fine la rabbia emerge sul mio viso. «Cosa volevi fare, mandarmi un messaggio vocale una volta atterrata a Nashville?».

Carlotta abbassa la testa. È così pallida sotto questo sole che la sua pelle pare brillare.

«Belinda...».

«No» la interrompo subito. «Non ci provare. Non chiamarmi più così. Smettila con le false promesse. Non chiamarmi più B. o Belinda se poi, quando io ho bisogno di te, tu non sei disposta a rispondere». Mi stupisco delle mie parole. Non so da dove arrivino, ma le lascio uscire piano. «Non è giusto, Carlotta. Non funziona così. Non puoi stare con due piedi in una scarpa pensando che tanto poi te ne scapperai oltreoceano e noialtri resteremo qui a bisticciare per le briciole che ci avrai lasciato. Mi hai capita?».

È come se il mio palloncino di segreti fosse stato punto da una piccola vespa velenosa. Lentamente permetto alle parole di uscire e di lasciarmi sempre più vuota, sempre più afflosciata.

«Non mi aspettavo che dicessi a Edoardo di noi due. Cazzo, non mi aspettavo che lo dicessi a nessuno! Ma questo?» dico indicando la scuola alle nostre spalle. «Questo?! Te lo porti dietro, te lo baci, te lo abbracci! Di fronte a me!».

Alla fine mi si spezza la voce. Senza accorgermene, sto piangendo.

«Ma come ti aspetti che mi senta, io? Cosa dovrei fare? Se non mi vuoi in giro, dillo e basta! Dillo! Ma non farmi questo!».

Anche i suoi occhi si riempiono di lacrime. Diventano azzurro ghiaccio, ma sono bordati di un blu cupo. Le trema il labbro inferiore.

«Lo so» dice piano, lasciando cadere le prime lacrime. «Credimi, lo so, lo so, lo so... Ma che devo fare, io? Dire a tutti che sono lesbica? Be', non voglio! Tanto tra due settimane sarà tutto finito comunque. Con lui, con te, con quello che c'è stato qui». Cerca un fazzoletto e si asciuga le guance. «Non credere che non ci abbia pensato. Mille volte, ogni notte, mi sono chiesta come fare per uscire da questa dannata lose-lose situation. Lascio Edo per te, e poi cosa? Affronto la mia famiglia? Dovrò comunque partire. E quindi devo lasciare te. Oppure non lascio Edo e aspetto che sia lui a farlo. Ma intanto soffri tu» dice. «Vedi? Sbaglio sempre. Qualsiasi cosa io faccia, è un errore che ferisce qualcuno e io perdo. Tutti perdiamo... per colpa mia».

Lascio passare parecchi secondi.

Mi metto nei suoi panni. È vero, ho dato per scontate alcune cose. Per esempio, non mi è mai passato per la testa di definirmi davvero lesbica. Ma lei sì, lei ci ha pensato.

Lesbica. Solo la parola mi sembra scandalosa, come se dirlo ad alta voce la facesse sembrare troppo grossa. Figurarsi tutte le conseguenze che si tira dietro. Mi immagino di dirlo a papà, a mamma. Come avrei potuto dirlo alla nonna.

Mi si impianta una paura folle nella pancia.

Perché finora non ci ho mai pensato, come invece ha fatto lei? Sono davvero lesbica o sono pazza solo di Carlotta? Solo di lei, e nessun altro?

Importa sul serio, dopotutto?

Quel che so è che a me piace lei. Lei e basta. Se fosse maschio, mi piacerebbe lo stesso. Se fosse entrambe le cose, maschio e femmina insieme, mi piacerebbe lo stesso. Se non fosse nessuna delle due cose, porca miseria, mi piacerebbe lo stesso.

E allora cosa dice questo di me?

«Non devi partire per forza» dico infine in un sussurro.

Lei tira su col naso, cerca di ricomporsi. «Sì, invece. Ormai devo».

«Che vuol dire "ormai"? Se ti avessi chiesto prima di restare, lo avresti fatto?».

Si alza. Il silenzio che corre tra la mia domanda e la sua risposta è una pugnalata in pieno petto per me.

«Non buttarmi addosso anche questo dubbio» risponde, secca. «Tanto ormai non servirebbe più a niente».

Ocean EyesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora