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Corro nei bagni del campeggio.

Sono a piedi nudi e continuo a scivolare, a inciampare nelle radici.

D'improvviso l'alcol e le lacrime pretendono di uscire dal mio corpo, in un modo o nell'altro. Arrivo giusto in tempo ai lavatoi, tanto profondi quanto puzzolenti, e vomito.

I conati e il pianto non mi danno tregua per parecchi minuti.

Come ho potuto essere così stupida? Così debole?

E lei. Dio mio, lei!

La odio. Un odio viscoso. Ed è un sentimento ancora più violento di quello che ho provato nei confronti di Claudio ed Edoardo. Perché a lei ci tengo, a differenza loro. Ed è per questo che fa così male.

Tremo. La rabbia mi scuote, la delusione mi strema. Voglio sparire.

Mi cola il naso, la gola brucia come se avessi inghiottito fiamme e chiodi. Non riesco a credere di poter provare così tanto odio per una persona che amo così tanto.

Poi mi accascio. Piango a dirotto, sono certa di non poter mai più tornare a respirare. Il petto mi sta collassando sul cuore, tengo la mano sullo sterno come se potessi risollevarlo da lì, ma più piango e più fa male, in una spirale senza fine.

Mi sdraio a terra. Spero che, se mi faccio piccola, se mi rendo invisibile, forse posso sopravvivere.

Appoggio la fronte sul pavimento freddo. Puzza. Puzzano le mattonelle, puzzo io. L'odore acre mi brucia le narici, ma rimango comunque lì, rannicchiata, ad aspettare che l'ossigeno mi riempia i polmoni.

Lentamente torno in me. Sono così devastata da non riuscire a mettermi in piedi. Non ne ho le forze. Non voglio. Probabilmente qualcuno a un certo punto entrerà in bagno e mi crederà morta. Qualcuno chiamerà i miei genitori, e allora sì che le cose si faranno ingestibili.

È quel pensiero a farmi tornare un briciolo di energie: la paura di dover spiegare alla mamma cosa, o meglio chi, mi abbia ridotta così.

Non è ammissibile. Quindi mi alzo e mi sciacquo la faccia.

Sento la porta aprirsi. Non faccio in tempo a voltarmi che mi arriva un calcio in piena schiena.

Perdo il respiro e ricado a terra. Vedo le sue infradito. Sento che mi afferra per i capelli e mi tira su. Mi spinge la testa nel lavabo, esattamente dove poco fa ho vomitato. Cerco di appigliarmi a qualcosa, qualsiasi cosa, ma le mie mani scivolano su tutto, e anche i miei piedi.

Non dice una parola. Mi impedisce di guardarlo in faccia, ma io so chi è. Mi tiene giù, e sempre più giù, finché la pressione del lavandino sulle mie costole è così dolorosa da farmi tornare a piangere.

Il fatto che non parli mi terrorizza più delle sue azioni. Ma è lo spavento del suo amico a congelarmi il sangue.

«No, Cla, che fai con quelle forbici!».

Urlo.

«Non fare cazzate!» continua a dirgli.

Claudio allenta la presa per un secondo e così riesco vedere Edoardo. Sta facendo il palo.

«Zitto, coglione. Ha convinto la mia ragazza a lasciarmi? Ok, tanto mi faceva cagare comunque. Ma se vuole fottersi anche la tua, di ragazza, allora è meglio che cominci a somigliarti un po', non credi?».

«Cla, Cla, lascia stare... Cla!».

«Solo un attimo e andiamo, ci metto pochissimo, tranquillo».

Urlo ancora, di più e più a lungo. Serve solo a procurarmi la sua mano sulla bocca. Cerco di morderla, ma sa di sudore e la nausea mi piega. Mi prende una ciocca di capelli, dal centro della testa, e la taglia. La lascia cadere nel lavabo. Sotto i miei occhi.

Ciocche lunghe. Una, due, tre.

Non è doloroso di per sé. Ma sapere che Claudio mi sta togliendo qualcosa, saperlo e non potermi muovere, non poterci fare niente...

Quello mi uccide.

«Che cazzo fai, Cla? Lasciala stare! Basta! Basta, ho detto!».

Mi rovina la testa. Dentro e fuori.

Vedo i miei capelli morire nel lavatoio e a terra. Lo sento divertirsi, con quelle dannate forbici, un barbiere crudele e vendicativo, un criminale che potrebbe fare di peggio, ma che ha solo scelto di rendermi brutta per un po'.

Smetto di divincolarmi. Ho il terrore che sbagli mira con quelle due lame di per sé insignificanti. Non voglio perderci un occhio. Prego e aspetto. Aspetto e prego per un tempo che mi sembra infinito.

Alla fine mi lascia andare. Fa un passo indietro e io sono libera dal suo peso.

«Ecco. Chissà se adesso ti troveranno figa, eh, Linda?».

Il suo sputo mi si appiccica addosso, sulla spalla nuda. Se ne va.

Io non ho il coraggio di respirare, né di muovermi. Figurarsi quello di guardarmi allo specchio.

Mi siedo a terra, piano, piano e tremando. Nel farlo vedo Edoardo, che mi fissa spiritato dalla porta. È rimasto solo lui. Immobile, come me.

«Io...».

Si butta le mani in faccia, quasi a nascondersi, o a svegliarsi da un incubo. È incredulo. Non so se per aver scoperto un lato di Claudio che lo spaventa o se perché un lato infame se l'è visto dentro.

«Io non volevo questo» dice.

Non rispondo.

«Non ho mai voluto questo» ripete.

Poi scappa.

Ocean EyesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora