50

1.5K 78 3
                                    

Decido che a Carlotta non dirò nulla. Almeno finché non avrà finito con la maturità.

Il ritorno a scuola è ok. Anzi, sarebbe persino bello se solo io non sapessi già che questi saranno i miei ultimi giorni al Medi. Nel senso, ultimi per sempre.

Non posso godermi le feste, le torte a ricreazione, l'aria festosa. No. Perché sto già rimpiangendo tutto: le macchinette che mi rubano i soldi, la Cironna che interroga fino al quattro di giugno, il mio banco.

Il mio banco.

È proprio durante uno di questi momenti di sconforto, mentre incido LdF sul legno, che Daria mi si avvicina.

«Ehi, ciao» comincia incerta.

«Ciao».

«So che avrei dovuto cercarti prima. Mi dispiace, per tutto. Davvero. E poi... ho saputo».

Ha saputo?

Di mia nonna, di me e Carlotta o di Mantova?

Dio mio, quando ho iniziato ad avere tutti questi segreti?

«Mi dispiace tanto per tua nonna» prosegue, sedendosi sul banco accanto al mio. «Non so mai cosa dire in questi casi».

«Grazie, tranquilla» rispondo. Metto le forbici nell'astuccio e la guardo fisso. «Tu, invece? Come stai?». Senza rendermene conto cerco il livido che le avevo visto sul braccio. Non c'è più. «Perché... ho saputo anch'io».

Pure lei pare confusa. È come se stesse cercando di indovinare a quale dei suoi segreti alludo. La cosa mi intristisce ancora di più. C'è stato un tempo, neanche troppo lontano, in cui io e lei ci capivamo con un'occhiata. Non c'erano censure, non c'era disagio. Non c'erano ragazzi di mezzo. E anche se adesso può sembrare che abbiamo liquidato la nostra lite con delle scuse annacquate, la verità è un'altra.

Ormai io e lei abbiamo rotto. È semplice. Non torneremo più a essere quelle di prima.

«Di Claudio» concludo infine, come per interrompere il flusso dei miei pensieri.

«Ah, be'... Quindi Carlotta fa da messaggera tra me e te, eh?».

«Così sembra. Ma non sviare. Ti ho chiesto come stai» insisto, forse un po' brusca ma non per questo meno interessata alla risposta.

Lei si stringe nelle spalle. Sorride, eppure tiene gli occhi così in basso che pare stia guardando una voragine dentro la quale non vuole cadere.

«Eh, dai. Sto».

Non ci riesce proprio a dirlo. Così lo faccio io. Mi metto di fronte a lei, la guardo dritto negli occhi e dico decisa: «Lascialo. So che nessuno dovrebbe dirti cosa fare, Daria, ma così non va. Tu non mi sembri felice e, anzi, se devo dirla tutta non sembri nemmeno tu».

Chiude gli occhi e trattiene le lacrime.

«Ci sto provando. Da giorni. Non c'è mai la giusta occasione» confessa.

«E quando mai c'è la giusta occasione per lasciare qualcuno? Però prima o poi si deve, se non funziona».

Nel dire questo, sulle labbra di Daria spunta una smorfia sarcastica. «È questo che hai detto anche a Carlotta?» mi chiede.

«Come, scusa?».

«Si vede che stai aspettando solo che quei due si mollino» dice. Mi guarda bonaria, ma con ovvietà. «Eddai, Linda. C'ero anch'io allo skatepark. E a scuola, e in discoteca, e a casa sua. Non sono cieca. Ti conosco abbastanza da capire quando ti piace qualcuno... o qualcuna».

Vorrei negare, ma non ci riesco. Così me ne sto solo zitta, a guardare le mie iniziali incise sul banco.

«Guarda che non te ne faccio mica una colpa» continua. «Purtroppo non scegliamo di chi infatuarci. O innamorarci. Guarda me» dice amara. «Mi sono innamorata di uno che mi vuole trasformare in un trofeo. O, peggio, una proprietà».

«Daria...».

«Dico sul serio. Non credere che non me ne sia resa conto. È stata colpa mia, sai? Mi sono sempre detta che nessuno avrebbe mai provato interesse per me, che ero... sono... troppo brutta. Poi qualcuno ha provato interesse per me, morboso e schifoso, ma io non me ne sono accorta. Anzi, quasi mi faceva piacere, la sua gelosia».

Chiudo gli occhi e trovo il coraggio di farle la domanda che mi assilla. «Ti picchia?».

«No, no, macché» ribatte con lo sguardo vacuo. «A volte si fa prendere dalla rabbia, ma non mi picchia. È troppo subdolo per ferire in maniera visibile. Si metterebbe nei guai, e lui è più furbo di così».

Che schifo, penso con una morsa allo stomaco. Mi alzo dalla sedia e mi metto di fronte a lei. «Ma anche tu. Anche tu sei più furba di così. Devi lasciarlo, mi hai capita?».

«Ma certo, ma certo, lo farò» si affretta a chiudere la questione. «Non so quando, ma lo farò. E tu?».

«Io cosa?».

Devo farle pena, perché è la prima volta da quando la conosco che mi rivolge questo sguardo impietosito.

«Tu quando lascerai andare Carlotta? Perché ormai è chiaro che sei incastrata in una situazione impossibile». Si ferma per un attimo. «Lei andrà via. E tu che farai?».

Anche io, vorrei risponderle. Anche io andrò via.

Ma questo lei non lo sa, e io non ho il coraggio di dirlo ad alta voce, perché non voglio essere la codarda che la lascerà qui da sola con Claudio.

Così mi stringo nelle spalle.

«Tu pensa a lasciare quello stronzo. Io poi penserò a lasciarmi questa storia alle spalle».

Ma è una bugia. E lo so bene.

Ocean EyesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora