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Ci chiudiamo in quella che una volta era la cameretta di mia madre.

C'è ancora una moquette rosa antico che mette i brividi. Gli armadi sono così vecchi che non ho avuto il coraggio di metterci dentro i miei pochi vestiti. Li tengo nella valigia, per terra, in un angolo.

Carlotta si siede sul letto solo dopo aver poggiato il suo zaino accanto al mio bagaglio.

«Allora» comincia «come stai?».

Mi stringo nelle spalle. Ho ancora l'eco del pianto nella mia voce.

«Domani sarà il tuo primo funerale?».

Faccio di sì con la testa e mi siedo accanto a lei. «Non ho idea di cosa aspettarmi».

Lei sospira e lascia che la mia testa si abbassi sulla sua spalla. «Puoi aspettarti molte lacrime, parecchie condoglianze da visi sconosciuti e... tanti, tantissimi abiti neri».

«Ah» sbotto. All'improvviso mi alzo e vado a scavare nella valigia. «Ah».

Mi volto verso di lei col panico negli occhi. Lei invece mi sorride.

«Fammi indovinare» dice «non hai pensato all'abito nero».

Mi butto una mano in faccia e mi lascio cadere sulla moquette, sedendomi a gambe incrociate.

«Credo che sia passato di mente a mia mamma» rispondo. «Mi sa che hanno fatto i bagagli così di fretta che...».

«Comunque non c'è problema» riprende lei. Va verso il suo zaino e lo vuota sul letto. «Chiamalo sesto senso, se vuoi, ma ho portato qualche vestitino in più. Sai, just in case...».

I miei occhi si riempiono di gratitudine. Senza pensarci, scatto da terra e le lancio le braccia al collo.

«Tu! Tu sei la migliore».

E le stampo un bacio sulla guancia. Così, come se nulla fosse. Giuro che non so da dove mi venga tutta questa spontaneità, ma mi fa ridere vederla arrossire mentre ricambia l'abbraccio.

«Dai, vediamo quale ti sta meglio» propone distaccandosi appena. «Secondo me abbiamo più o meno la stessa taglia».

Distende con cura sul letto tre vestiti. Ovviamente sono tutti neri, con la gonna che arriva più o meno al ginocchio. Il primo ha le maniche lunghe velate, semplice e liscio; il secondo invece è più impegnativo, con qualche paillettes qua e là; l'ultimo infine ha lo scollo a barchetta e la gonna svasata. Tra tutti, è il più semplice. Sto giusto per scegliere quello, quando Carlotta me lo passa senza neanche guardarmi.

«Secondo me ti si addice questo» dice passandomelo. Io sorrido tra me e me. «Forza, provatelo».

«Ok» rispondo aprendo la lampo e girandomi. Aspetto che esca dalla stanza. Ma non lo fa. Anzi. Si siede sul letto.

Ah.

Di colpo mi torna in mente la sessione di trucco a casa sua, prima di andare allo skatepark quel maledetto sabato. Mi ero vestita mentre lei preparava Daria perché temevo di farmi vedere nuda. E ora, invece... Ora Carlotta se ne sta qui, di fronte a me, in attesa che mi spogli e mi metta un abito suo.

C'è una parte di me che non vuole farlo. Perché semplicemente non reggo il confronto con lei. Ma un'altra parte, ben più insistente, nota il modo in cui il suo sguardo si è fatto più vigile, e ne è lusingata.

Be'. Ormai siamo qui. La porta è già chiusa. Prendo un bel respiro e mi tolgo sia la maglietta che i pantaloncini. Mi rendo conto di avere reggiseno e mutande spaiate, ma almeno non sono le più brutte che ho.

Le giro le spalle per tre quarti, così un po' riesco a tenerla d'occhio. Solo che poi arrossisco, perché mi pare che mi stia mangiando con gli occhi, e quindi mi volto del tutto.

Non essere scema, mi dico, non sopravvalutarti. Non ti sta guardando a quel modo...

«Serve una mano con la lampo?» chiede.

Io armeggio un po', cerco di fare da sola, ma è inevitabile. «Mi sa di sì» ammetto.

Basta un secondo, e lei è già dietro di me.

Fa caldo? Sono solo io, o la temperatura si è alzata di botto?

Mi mette una mano sul fianco sinistro. Con l'altra prende la cerniera e inizia a tirarla su, ma lo fa piano. Troppo piano.

A metà schiena si ferma. È costretta ad aiutarsi anche con l'altra mano, che si stacca dal mio fianco con un vuoto quasi doloroso. Almeno, lo è per me. Quando è quasi arrivata alla fine, mi scosta i capelli oltre la spalla destra e io rabbrividisco.

So che si vede la mia pelle d'oca. Lo so. Anche perché la sento sorridere.

«Ecco fatto» dice. «Fatti un po' vedere».

Indugio un attimo, perché sono frastornata. Poi, piano, lo faccio. Mi giro verso di lei e allargo le braccia.

«Come mi sta?».

Non ho il coraggio di alzare gli occhi nei suoi, non subito.

«Sembra fatto su misura per te» risponde, sinceramente colpita. «Sei... Cavolo, B., sei stupenda».

Allora la guardo. Mi stringo nelle spalle a mo' di ringraziamento. «Sì, be', date le circostanze "stupenda" non è proprio il concetto a cui mirare».

La faccio ridere. «Hai ragione, lo so. È che non ti ho mai vista con...».

«Con le sembianze di una femmina?» la aiuto.

«No, non volevo dire questo». Fa una pausa e si avvicina. Mi toglie un pelucco dalla spalla. «Volevo dire che non ti ho mai vista... in questo modo».

Non so a cosa si riferisca esattamente. Quel che so è che all'improvviso mi pare assorta, quasi imbarazzata. Vorrei sapere perché adesso non mi fissa più spudorata come prima.

«A cosa pensi?» le chiedo.

Lei tira su col naso, si schiarisce la voce. Si allontana di qualche passo e va verso la porta. Ha la mano sulla maniglia ma indugia. Infine chiude gli occhi e butta lì una risposta tanto rapida quanto assurda.

«A quello che stai pensando tu».

Poi, prima che io abbia modo di ribattere, esce.

Ocean EyesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora