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È ok. È tutto ok.

È solo una forte stima.

I giorni successivi scivolano via con questo ritornello di sottofondo. È normale. È come quando ti fissi con una rockstar, non ti importa che sia maschio o femmina, giusto? Ti piace per quello che è, per come si esprime, come si veste, perché vorresti avere tu un millesimo di quel suo carisma.

Giusto.

Anche se... Anche se, a dire il vero, quando ascolto le interviste a Tyler Joseph non sento proprio le stesse cose. Quando guardo Billie Eilish non penso: vorrei passare tutte le ore del giorno con te. Mi basterebbe un pomeriggio, forse una giornata dietro le quinte, ma non tutta la vita.

Se penso a loro non avvampo in pubblico, al massimo mi perdo nella mia mente. Se invece penso a Carlotta, sento il vuoto aprirsi nel mio stomaco come una fiammata improvvisa, e poi un brivido freddo mi corre giù per le gambe. A volte sono costretta ad appoggiarmi al muro, tanto è veloce e intensa questa scossa. Mi si mozza il respiro, cuore e cervello perdono la sincronia per un secondo. È come se dentro di me ci fosse benzina invece che sangue. Per accendermi non serve che una scintilla impazzita, che va dove le pare senza nemmeno chiedere. Una scintilla sola.

Poi però la fiammata, così com'è arrivata, se ne va. Sono io che la spengo di forza. Mi fermo. Mi chiedo se la mia non sia solo suggestione. Sto rimuginando così tanto su un problema che non c'è fino a crearmelo. Giusto? Certo che sì. Ed è lì che ricomincio col mio mantra: è tutto ok, normale, una forte stima e basta, niente di più.

Eppure stimo anche Omar e Johnny. E Daria. Quindi perché con loro non c'è nessun fuoco in pancia?

Morale della favola: tra un giro di pensieri e un altro di dubbi, di fatto i miei voti precipitano. In sole due settimane riesco a diventare protagonista di una disfatta scolastica totale. Di solito questo non succede, quando fantastico sulle rockstar.

Vengo chiamata alla lavagna per un'interrogazione di chimica e faccio scena muta. Prendo uno. Dico davvero: uno. Per fortuna a inizio quadrimestre avevo un nove messo da parte, ma non ho idea di come spiegarlo a mamma e papà. Come se non bastasse, anche nelle materie in cui mi sento più tranquilla c'è qualche scossone. Faccio un tema di italiano e prendo sei meno. Nel compito di inglese precipito a un cinque. Storia, non parliamone neanche.

La media scolastica sprofonda. Daria ne è quasi felice, perché finalmente siamo sulla stessa barca, quella della sufficienza sempre in bilico. Lei lo chiama "il brivido della salvezza". La professoressa di italiano invece si preoccupa, al punto che si consulta con gli altri professori e chiama a ricevimento mio padre.

Ecco perché adesso ce ne stiamo appollaiate su un termosifone, io, Daria e Carlotta. Passiamo la ricreazione a tenere d'occhio l'aula in cui mio padre sta parlando con la Mastrocardi. La porta è chiusa e dio solo sa quale sarà il mio destino.

«Dai, almeno è venuto tuo padre e non tua madre» cerca di consolarmi Daria.

Carlotta mi sta vicina, la sua spalla preme sulla mia. Non so cosa mi agiti di più: l'aver perso il controllo della mia testa o il terrore che mamma venga a saperlo. Perché è ovvio che verrà a saperlo.

«Ho appena finito di scontare la punizione per il centro commerciale» mi lamento. «E già me ne tocca un'altra».

«Ma no, dai, stai tranquilla» dice Carlotta. Il suo braccio mi cinge le spalle. Con la mano mi massaggia la spalla. Giuro che vorrei ritrarmi, ma non ci riesco. Perché la scintilla mi ha già sfiorata. Ora devo sforzarmi di spegnere l'incendio, perciò me ne sto immobile a combatterlo dentro di me.

«Ah, ragazze, prima che mi dimentichi...» riprende Daria, mettendosi di fronte a noi e interrompendo il flusso dei miei pensieri. «Io penso di aver bisogno del vostro aiuto».

«Spara».

«Presente Marco? Quello con cui mi sto sentendo da Natale, più o meno?».

«Intendi il ragazzo con cui chatti fino alle due di notte ma che ancora non ha avuto il coraggio di chiederti un appuntamento?» traduco io per Carlotta.

«Esatto, lui. Si dà il caso che finalmente abbia fatto una mossa».

«Super!» esulta Carlotta. «Vi vedete?».

Il sorriso di Daria si assottiglia fino a diventare una smorfia nervosa. «Forse. Spero. Cioè, non è che abbia invitato me e basta. È che questo weekend festeggia il suo compleanno...».

«Dove?».

«Al Mamamia».

C'è un attimo di silenzio. Poi io inizio a ridere. Daria si stringe nelle spalle e Carlotta ci guarda a turno, perché non capisce cosa ci sia di così divertente.

«E qual è il problema? Ti ha invitata, no?» chiede.

Sono io a riassumere la situazione. «Sì, ma non esiste al mondo che Daria possa andare al Mamamia. Figurati, sua madre viene a riprenderla alle dieci meno un quarto in pizzeria. Secondo te la lascia andare in discoteca?» rido ancora. «Pazienza, Da. Chiedigli un appuntamento più fattibile. Che so, in un bar, di pomeriggio, magari con un microfono addosso e una videocamera nascosta».

«Già, vero? È che di questo passo rischio di aspettare altri due mesi» risponde lei, rattristata.

«Wait a minute» fa Carlotta. Si scosta dal calorifero e punta gli occhi su Daria. «Perché vi siete già arrese?». Lei la guarda, rapita dal barlume di speranza che vede nella sicurezza di Carlotta. «Dite che venite a dormire da me».

«E poi?» chiedo.

Stavolta è lei a ridere, quasi sprezzante, come se fossimo marziane. «E poi ce ne andiamo al Mamamia, no? C'è la navetta».

Né io né Daria rispondiamo. In compenso, sospiriamo in coro.

«Su, che ci vuole!».

«Scusa, ma tu potresti andarci?» le chiede Daria.

Carlotta fa una piccola smorfia. «Excuse me? Ho diciott'anni, il sabato sera vado dove voglio. Mia madre capisce, ci andava anche lei alla mia età. Basta non fare cazzate troppo grosse».

Di nuovo, io e Daria ci guardiamo.

«Be', tu sei maggiorenne. Noi mica tanto» dico io.

«E allora? Da quando in discoteca ci sono solo ed esclusivamente maggiorenni? Basta essere femmine. Ci apriranno le porte e ci offriranno pure da bere».

Oh, no. Oh. No.

Dall'espressione di Daria vedo che sta iniziando a crederci. Che già si vede lì, in discoteca, a strusciarsi sul suo amichetto. A me l'idea non fa impazzire. Non è proprio il mio ambiente. Non avrei cosa mettermi, non mi va di mentire ai miei, e se succede qualcosa posso star certa che in punizione ci starò fino ai trentacinque anni.

Cerco una scusa da accampare, ma Daria sta già esultando. Abbraccia Carlotta, che se la ride per la nostra ingenuità. Poi è proprio lei, Carlotta, a puntarmi lo sguardo addosso. Capta la mia incertezza. Scioglie l'abbraccio con Daria e viene da me. Mi prende per le spalle.

«Vieni, dai. Ti assicuro che ci divertiremo».

«Sì, ma...».

«Niente ma. Io sono entrata nel tuo mondo» dice con un sorriso. «Ora tocca a te entrare nel mio».

Ocean EyesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora