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Quando papà esce dall'aula insieme alla Mastrocardi, sorride.

I due si salutano, si stringono la mano e si dividono. Papà si ferma un attimo in corridoio e guarda il telefono.

Inspiro e mi faccio coraggio. Mi scosto con un cenno da Daria e Carlotta e vado da lui.

«Papà?».

«Ehi, eccoti» mi accoglie ancora sorridendo. Buon segno. «Senti, le avete le macchinette del caffè, qui? Quella tua professoressa sarà anche buona e cara, ma parlava così piano che quasi m'addormentavo».

«Vero? Pensa a sentirla parlare due ore di Petrarca».

Fa una smorfia e io intanto lo guido verso i distributori automatici. C'è un po' di coda. Lui non dice niente, se ne sta buono in attesa del suo turno. Mi schiarisco la voce.

«E... quindi?» comincio, un po' impaurita.

«E quindi niente. Mi ha detto che è un po' preoccupata per te. Non capisce perché all'improvviso tu abbia smesso di darti da fare».

«Non è vero» ribatto subito, punta nell'orgoglio. «Io studio come sempre. È solo che questo terzo anno è più impegnativo del previsto».

«Non credo che si tratti di quanto studi. Piuttosto di come studi» dice. «Mi ha fatto vedere i tuoi temi di inizio anno. Sono brillanti, non pensavo sapessi scrivere così».

«Sì, be', sono solo temi. Non c'è da studiare, solo da pensare».

«Appunto per questo la Mastrocardi è preoccupata. Mi ha mostrato l'ultimo tema e pare che tu sia deconcentrata. Capiscimi: non è male, è solo decisamente sottotono. E da quanto ho capito, questa tendenza si sta verificando anche in altre materie, giusto?».

Sospiro e abbasso la testa. «Forse».

Interrompiamo il discorso solo perché è arrivato il turno di papà. Conta le monetine e prende un caffè per lui e una cioccolata per me. Dopodiché ci appartiamo in un angolo. Con la coda dell'occhio vedo che Carlotta e Daria ci stanno spiando.

«Ascolta, io alla mamma non ho detto niente di questo ricevimento».

Ah, no?!

Di colpo alzo gli occhi. Che sollievo. Che sollievo! Vorrei abbracciarlo.

«E non ho intenzione di dirglielo, anche perché credo che ultimamente tu e lei abbiate qualche problemino di comunicazione».

Ultimamente? Io direi più da sedici anni. Comunque annuisco senza dire niente.

«Anzi, se proprio devo essere onesto» continua «io credo che questo tuo calo abbia a che fare con... sì, be', con lei».

Non ci credo.

«Come, scusa?».

«Sì, mi sa che lei ti sta troppo addosso. Ma ho già intenzione di parlarle, non preoccuparti».

Dentro di me sento una voce che è scoppiata a ridere, sguaiata come non mai. Fatico a restare seria di fronte a papà. Non solo la situazione non è grave come sembra, ma addirittura lui incolpa la mamma – e non me – dei voti in calo! Mi sento come se avessi vinto alla lotteria senza nemmeno giocare.

«Però, Linda, se c'è qualcosa che ti stressa, puoi dircelo. Non solo a me. Prova a parlare di più anche con la mamma. So che può essere difficile, a volte, ma ricordati sempre che lei ti vuole bene. Lavora come una matta per noi, per te. Sta facendo tutto quello che può fare e anche di più. Capito?».

Annuisco di nuovo. Ho ancora voglia di scoppiare a ridere, ma penso che non sarebbe una grande idea. Mi stringo nelle spalle.

«E un'altra cosa» aggiunge papà dopo aver bevuto il caffè. «Guarda che ti tengo d'occhio. Quei voti, falli tornare come prima. Intesi?».

«Intesi».

La campanella ci interrompe. Lui deve filare a lavoro, io a lezione, così ci salutiamo. Quando gli giro le spalle, Daria e Carlotta mi vengono incontro.

Sarà la situazione che ha dell'incredibile, sarà il sollievo. Fatto sta che all'improvviso mi sento parte di qualcosa, qualcosa di irripetibile. Non riesco a spiegarlo nemmeno a me stessa, ma vederle così, pronte a correre in mio soccorso, mi fa sentire compresa come mai mi era capitato prima d'ora.

E così, mentre arrivano da me e mi fanno il terzo grado, capisco. Sorrido.

Ora anche io ho la mia squadra.

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