Capitolo 235

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POV di Tessa.
"Harry!" Apro la porta e lo chiamo. È già metà strada.
Quando si gira, ha il viso contorto in confusione. "Sì?"
"Puoi dire a Liam di chiamarmi se non vuole entrare?" Rispondo velocemente. So che Liam entrerebbe in casa di mia madre, ma sono sicura che Harry voglia andar via ora, e a differenza di Liam, non gli starebbe bene restare seduto in macchina ad aspettare.
"Oh, okay."
Aspetto che si rigiri, non so cosa mi aspetto esattamente, un saluto, un abbraccio, qualcosa, ma non arriva. Apre la portiera del passeggero dell'auto di Liam, ed entra. Muovo la mano in aria in un piccolo e patetico saluto. Liam abbassa il finestrino e ricambia, promettendo di chiamarmi domani. Harry deve aver insistito perché Liam iniziasse a guidare, adesso. Nel momento in cui l'auto è fuori dalla mia visuale, il vuoto diventa più pesante sul mio petto, e torno dentro. Noah è sulla soglia tra il salotto e la cucina,
"Se n'è andato?" Mi chiede.
"Sì, se n'è andato." La mia voce distante, sconosciuta.
"Non sapevo non steste insieme."
"Noi, beh.. stiamo cercando di fare chiarezza."
"Puoi dirmi una cosa prima di cambiare argomento?" I suoi occhi studiano il mio viso, "Conosco quello sguardo, stai cercando una scusa per farlo." Anche dopo essere stati separati tutti questi mesi, mi conosce ancora così bene.
"Cosa vuoi sapere?" Gli chiedo, prima di acconsentire alla sua richiesta.
"Se potessi tornare indietro, lo faresti? Ho sentito dirti che vorresti cancellare gli ultimi sei mesi, lo faresti davvero?" Mi chiede, i suoi occhi blu che fissano i miei.
Lo farei?
Mi siedo sul divano per ponderare la sua domanda, tornerei indietro? Cancellerei tutto quello che mi è successo negli ultimi sei mesi? La scommessa, i litigi con Harry, la spirale in discesa in cui è finita la relazione con mia madre, il tradimento di Steph, le umiliazioni, tutto.
"Sì, lo farei, in un attimo."
La mano di Harry sulla mia, il modo in cui le sue braccia tatuate avvolte intorno a me mi attirano al suo petto. Il modo in cui a volte ride così forte da strizzare gli occhi, il suono che mi riempie le orecchie, il cuore, e tutto l'appartamento, con una felicità talmente rara che nulla potrebbe cancellarne il ricordo.
"No, non lo farei. Non potrei." Cambio la mia risposta e Noah scuote la testa.
"Quale delle due?" Ridacchia e si siede sulla poltrona reclinabile di fronte al divano.
"Non lo cancellerei."
"Sei sicura? È stato un brutto anno per te, e io non ne conosco neanche la metà."
"Sono sicura." Annuisco, pensandolo davvero.
"Però farei delle cose in modo diverso, con te." Gli dico di nuovo.
"Sì, anch'io." Noah concorda a bassa voce e prende il telecomando della televisione dal contenitore attaccato alla poltrona. Fischi e folle acclamanti riempiono il piccolo salotto e io fisso lo schermo, ripetendo la risata di Harry nella mia mente finché, alla fine, non mi addormento.
...
"Theresa." Una mano mi afferra la spalla e mi scuote, "Theresa, svegliati."
"Sono sveglia." Mi lamento e mi divincolo dalla presa di mia madre.
"Che ore sono?"
"Le sette di sera. Volevo svegliarti prima." Increspa le labbra. So che deve averla fatta impazzire lasciarmi dormire tutto il giorno sul suo divano. Stranamente, il pensiero mi diverte.
"Scusa, non ricordo neanche di essermi addormentata." Mi stiracchio e mi alzo.
"Noah se n'è andato?" Faccio capolino nella cucina, ma non lo vedo.
"Sì, la signora Porter voleva davvero vederti, ma le ho detto che non era un buon momento."
"Grazie." Vorrei aver salutato Noah per bene, ma so che alla fine lo rivedrò, lo stesso vale per Liam. Vedrò Liam prima di Noah.
"Harry ti ha portato la macchina, ho visto." Posso sentire la disapprovazione nella sua voce quando fa le spalle ai fornelli e mi passa un piatto di lattuga e pomodori grigliati.
Non mi è mancata la sua idea di un buon pasto.
"Perché non mi hai detto che era venuto qui? Ora me lo ricordo."
"Me l'ha chiesto lui."
"Da quando ti importa di quello che vuole?" Incalzo, nervosa per la sua reazione..
"Non mi importa. Non te l'ho detto perché è nel tuo interesse non ricordarlo." La forchetta mi scivola dalle dita e cade sul piatto con un tintinnio acuto. "Nascondermi le cose non è nel mio interesse." Sto facendo del mio meglio per tenere la voce fredda e calma. Mi tampono gli angoli della bocca con un tovagliolo perfettamente ripiegato.
"Theresa, non sfogare le tue frustrazioni su di me. Qualsiasi cosa ti abbia fatto quell'uomo che ti ha resa in questo modo, è colpa tua. Non mia." Nel momento in cui le sue labbra rosse di tirano in un sorrisetto sicuro di sé, mi alzo dal tavolo e butto il fazzoletto sul piatto, prima di uscire dalla stanza.
"Dove stai andando, signorina?" Mi chiama.
"Vado a letto. Devo svegliarmi alle quattro di mattina per farmi la doccia e mettermi in macchina. Ho un lungo viaggio davanti a me." Urlo in risposta e chiudo la porta. Le aperti grigio chiaro sembrano restringersi su di me quando mi siedo sul letto della mia infanzia. Odio questa casa, non dovrei, ma è così. Non mi ero mai resa conto di quanto ingabbiata e controllata fossi nella mia vita, finché non ho avuto un assaggio della libertà con Harry per la prima volta. Amo mangiare la pizza a cena, passare tutto il giorno a letto nuda con lui. Niente tovaglioli ripiegati, niente capelli arricciati, niente orrende tende gialle. Prima che riesca a fermarmi, lo sto chiamando e lui sta rispondendo al secondo squillo.
"Tess?" Ha il fiatone.
"Uhm, ehi." Sussurro.
"Che succede?" Sbuffa, riprendendo fiato.
"Niente, stai bene?"
"Forza Styles, torna qui." Dice una voce femminile in sottofondo.
"Oh, sei.. ti lascio." Il cuore mi martella contro la gabbia toracica mentre le possibilità mi inondando la mente.
"No, non c'è problema. Può aspettare." I suoni di sottofondo diventano sempre più leggeri. Deve starsi allontanando da lei.
"Davvero, non fa niente. Vado, non voglio.. interromperti."
"Okay." respira.
Cosa?
"Okay, ciao." Attacco velocemente e mi metto la mano davanti alla bocca per trattenermi dal vomitare sul tappeto di mia madre.
Deve esserci una sorta di logica..
Il mio telefono vibra a fianco alla mia coscia, il nome di Harry chiaro sul piccolo schermo.
"Non sto facendo quello che tu pensi stia facendo, non mi ero neanche reso conto di come poteva sembrare." Dice immediatamente, il vento forte soffia intorno a lui coprendogli la voce.
"Non fa niente, davvero."
"No, Tess, farebbe qualcosa. Se stessi con qualcun'altra in questo momento, farebbe qualcosa, quindi smettila di comportarti come se non fosse così." Mi smaschera e mi stendo sul letto, ammettendo a me stessa che ha ragione.
"Non pensavo stessi facendo qualcosa." Dico una mezza bugia, in qualche modo sapevo che non stava facendo niente, ma l'idea era comunque presente.
"Bene, magari finalmente ti fidi di me."
"Magari."
"Questa cosa sarebbe molto più rilevante se non mi avessi lasciato." Il tono tagliente.
"Harry.."
"Perché mi hai chiamato? Tua mamma si sta comportando da stronza?" Sospira.
"No, non chiamarla così." Alzo gli occhi al cielo. "Beh, più o meno è vero, ma niente di grave. Solo che.. in realtà non lo so perché ti ho chiamato."
"Beh.." Si ferma, sento un porta chiudersi.
"Vuoi parlare o qualcosa del genere?"
"Va bene? Possiamo?" Gli chiedo. Solo qualche ora fa gli stavo di vendo che ho bisogno di essere più indipendente, ma eccomi qui a chiamarlo appena sono un po' dispiaciuta per qualcosa.
"Certo."
"Comunque dove sei?" Devo mantenere la conversazione il più neutrale possibile, non che tra me ed Harry sia possibile tenere le cose neutrali.
"In palestra."
"In palestra? Tu non vai in palestra." Quasi rido. Harry è una delle poche persone ad avere la benedizione di un corpo incredibile senza dover allenarsi. La sua struttura è perfetta, alto e spalle ampie, anche se lui dice di essere stato alto e dinoccolato durante l'adolescenza. I suoi muscoli sono duri ma non troppo definiti, il suo corpo è la miscela perfetta di morbido e forte.
"Lo so, quello mi stava facendo il culo. Ero genuinamente imbarazzato."
"Chi?" La donna di cui ho sentito la voce, ovviamente.
"L'allenatrice, ho deciso di usare quella roba di kickboxing che mi ha regalato per il mio compleanno."
"Davvero?" Il pensiero di Harry che fa kickboxing mi fa pensare a cose a cui non dovrei pensare.
"Sì."
"Com'è stato?"
"Non male, immagino, preferisco un diverso tipo di esercizio, ma sono molto meno incazzato di qualche ora fa." Stringo gli occhi per la sua risposta, anche se non può vedermi.
"Pensi che ci riandrai?" Le mie dita tracciano la stampa floreale del piumino. Finalmente sento di poter respirare di nuovo mentre Harry inizia a raccontarmi di quanto sia stata imbarazzante la prima mezz'ora di sessione, di come continuava a inveire contro la donna e che lei lo schiaffeggiava sul retro della testa, ripetutamente,  il che ha portato Harry a nutrire rispetto nei suoi confronti, e alla fine ha smesso di fare il cretino con lei.
"Aspetta," dico alla fine, "sei ancora lì?"
"No, adesso sono a casa."
"Te ne sei.. andato e basta? Gliel'hai detto?"
"No, perché avrei dovuto?" Mi chiede. Mi piace l'idea che ha lasciato tutto quello che stava facendo solo per parlare con me al telefono, non dovrei, ma è così.
"Non stiamo facendo proprio un buon lavoro con questa cosa dello spazio." Sospiro.
"Non lo facciamo mai." Posso immaginare il suo sorrisetto anche se è a centosessanta chilometri da me.
"Lo so, ma.."
"Questa è la nostra versione di spazio, non sei entrata in macchina e venuta qui, hai solo chiamato."
"Immagino di sì." Permetto a me stessa di essere d'accordo con la sua logica contorta. In un certo senso, ha ragione. La mia coscienza cerca di farsi strada per fare un commento sarcastico, ma la spingo via immediatamente.
"Non mi hai salutato." Borbotta.
"Tu volevi andartene." Gli ricordo.
"Sì, perché mi avevi detto di non dire niente di cui mi sarei pentito. Ero a due secondi di distanza dal dire delle merdate che non penso, quindi me ne sono andato."
"Oh."
"Noah è ancora lì?"
"No, se n'è andato qualche ora fa."
"Bene."
"Parlare al telefono è fottutamente strano." Ride Harry.
"Perché?"
"Non lo so, siamo al telefono da più di un'ora." Controllo l'ora sul mio telefono per assicurarmene, ha ragione.
"Non sembra così tanto."
"Lo so, non ho mai parlato con nessuno al telefono prima. A parte quando mi chiami tu per darmi fastidio dicendomi di portare qualcosa a casa, o qualche chiamata ai miei amici, ma non sono mai durate più di cinque minuti."
"Davvero?"
"Sì, perché dovrei? Non sono mai stato il tipo da fare coppia fissa, tutti i miei amici passavano ore al telefono ad ascoltare le loro ragazze parlare di smalto per unghie o qualsiasi cazzata sia quello di cui parlano le adolescenti per ore infinite." Ride leggermente,  e io mi acciglio un po' al ricordo che Harry non ha mai avuto la possibilità di essere un normale adolescente.
"Non ti sei perso molto." Gli assicuro.
"Tu con chi parlavi per ore? Noah?" Il rancore è chiaro nella sua domanda.
"No, neanche io ho mai fatto la cosa del parlare per ore. Ero impegnata ad infilare il naso nei romanzi." Forse neanche io sono mai stata una vera adolescente.
"Beh, allora sono contento che eri una nerd." Dice, facendomi sentire le farfalle nello stomaco. È così che ci si sente a stare con qualcuno? Io sono stata solo con Noah ed Harry, Noah era sempre a casa mia con me e Harry, beh, niente della nostra relazione è mai stato convenzionale.
"Theresa!" Torno di scatto alla realtà quando mia madre mi chiama ripetutamente.
"Hai superato il coprifuoco?" Scherza Harry.
La nostra relazione, non-relazione, darci spazio ma parlare al telefono, è diventata ancora più confusionaria dell'ultima volta.
"Sta' zitto." Rispondo e copro il microfono abbastanza a lungo per dire a mia madre che arrivo subito.
"Devo andare a vedere che vuole."
"Vai davvero domani?"
"Sì, davvero."
"Okay, beh, guida con prudenza, immagino."
"Posso chiamarti domani mattina?" Mi trema la voce quando glielo chiedo.
"No, probabilmente non dovremmo rifarlo. Beh, non spesso." Dice, mi si stringe il petto.
"Non ha senso parlare tutto il tempo se non stiamo insieme."
"Okay." La mia risposta è piccola, sconfitta.
"Buonanotte, Tessa." Attacca.
Ha ragione, so che ha ragione, ma saperlo non fa in modo che faccia meno male. Non avrei neanche dovuto chiamarlo.
...
"Hai tutto quello che ti serve, giusto."  Mia madre mi guarda attentamente.
"Sì, tutto quello che ho è in macchina."
"Okay, assicurati di fare benzina prima di lasciare la città."
"Starò bene, madre."
"Lo so, sto solo cercando di aiutarti." Sono le cinque meno un quarto e per una volta, mia madre non è vestita per lasciare casa. Indossa un pigiama di seta e una vestaglia, delle pantofole a completo le coprono i piedi. Io ho i capelli ancora bagnati dalla doccia, ma mi sono presa del tempo per truccarmi un po' e vestirmi decentemente.
"Lo so." Apro le braccia per darle un abbraccio di saluto e accendo l'auto per farla riscaldare mentre mi verso del caffè in una tazza per il viaggio. La piccola e fastidiosa speranza continua ad aggrapparsi a me, la stupida parte di me che desidera così tanto che dei fari appaiano nel buio, Harry esca dall'auto, valigie comprese, e mi dica che è pronto ad andare a Seattle con me. Quella stupida parte di me è proprio questo, stupida.
Alle cinque e dieci, do un ultimo abbraccio a mia madre ed entro in macchina. L'indirizzo di Kimberly e Christian è programmato nel navigatore del mio telefono. Continua a spegnersi e a ricalcolare, e non sono neanche uscita dal vialetto. Ho davvero bisogno di un telefono nuovo. Se Harry fosse qui, mi ricorderebbe ripetutamente che questa è un'altra ragione per comprare un iPhone.
Ma Harry non è qui.
...
Il viaggio è lungo, sembra molto più di quattro ore. Devo fermarmi più volte per il caffè, il cibo, o solo per respirare. I miei nervi stanno avendo la meglio su di me mentre guido sulle strade buie. A metà strada, finalmente spunta il sole e il mio umore si ravviva insieme al cielo. Lo sto facendo davvero, sto davvero seguendo il mio sogno e mi sto trasferendo a Seattle. Ho un fantastico stage e una macchina piena delle mie cose. Non ho un appartamento, non ho niente se non me stessa, le poche scatole sui sedili posteriori e il mio lavoro.
Si risolverà.
Sì.
Sarò felice a Seattle, sarà propio come ho sempre immaginato.
Sì.
Ogni singolo chilometro sembra trascinarsi all'infinito, ogni secondo è riempito da ricordi, addii e dubbi.
...
La casa di Kimberly e Christian è persino più grande di quanto mi avessero detto. Sono nervosa ed intimidita già solo dal viale. Degli alberi confinano la proprietà e l'aria odora di acqua salata. Parcheggio dietro l'auto di Kimberly e faccio un respiro profondo prima di scendere. Sulla grande porta di legno vi è incisa una grande "V" e mi viene da ridere per il concetto arrogante, quando Kimberly apre la porta.
Alza un sopracciglio e segue il mio sguardo sul legno dietro di lei, "Non l'abbiamo fatto noi! Ti giuro che il cognome dell'ultima famiglia che ha vissuto qui era Vermon."
Dice.
"Io non ho detto niente." Faccio spallucce.
"So cosa stai pensando, è orrenda. Christian è un uomo orgoglioso, ma non farebbe mai una cosa del genere." Picchietta la lettera con la sua unghia smaltata di rosso, facendomi ridere di nuovo.
"Com'è andato il viaggio? Entra, fuori fa freddo." La seguo nell'ingresso e accolgo l'aria calda e il dolce odore del camino.
"Non male, lungo." Le dico.
"Io spero di non doverlo mai più rifare." Arriccia il naso. "Christian
è in ufficio per tutto il giorno, io mi sono presa un giorno di ferie per assicurarmi che ti sistemassi. Smith torna da scuola tra qualche ora."
"Grazie ancora per farmi restare. Prometto che non saranno più di due settimane."
"Non ti stressare, finalmente sei a Seattle." Dice entusiasta, e alla fine la consapevolezza mi colpisce: sono a Seattle.

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