Capitolo251:Temer si dee di sole quelle cose c'hanno potenza di fare altrui male

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"Mia signora..." il castellano Cesare Feo entrò nello studiolo bussando sullo stipite della porta mezza aperta.

Caterina, che stava revisionando delle lettere assieme a Francesco Oliva, gli fece segno di aspettare un attimo e chiese al milanese, a voce bassa: "E non avete modo di farvi dire come stanno davvero le cose alla corte di mio zio? Questi messaggi sono troppo vaghi..."

Nella stanza c'era anche il Barone Feo, seduto mollemente sulla poltroncina vicino alla finestra aperta. Non stava prendendo, apparentemente, parte attiva al colloquio serrato tra la Contessa e l'Oliva, ma in compenso parve l'unico interessato all'arrivo del castellano.

Mettendosi a sedere più dritto, il Governatore di Forlì si fece attento, mentre sua moglie continuava a dar corda al milanese.

Oliva si passò, a disagio, una mano sul collo, spiegando: "Manco da Milano ormai da troppi anni, mia signora... Le mie conoscenze sono sempre meno numerose e sempre meno affidabili. Posso provare, ma..."

La donna strinse le labbra, comprendendo la difficoltà di quello che era passato dall'essere uno scomodo ambasciatore al soldo di Ludovico il Moro ad essere un fedele alleato di una Contessa di seconda categoria come lei.

"Ditemi pure." concesse Caterina, guardando Cesare Feo, che stava ancora aspettando sull'uscio.

"Al portone principale c'è un uomo che cerca di voi. Mi ha detto di annunciarlo come un vostro vecchio compagno d'armi." spiegò il castellano.

Giacomo si accigliò e fissò la moglie interrogativo. Nemmeno Caterina riuscì a capire al primo colpo di chi si trattasse, così, pregando a voce bassa l'Oliva di provare a fare quel che si poteva con i suoi contatti milanesi, lasciò la scrivania e si avvicinò a Cesare Feo.

"Vi ha detto come si chiama?" chiese, mentre, in un lampo, il marito le era accanto.

"Dice di essere Virginio Orsini, signore di Bracciano." rispose il castellano, corrucciandosi: "Dice che la sua scorta lo aspetta in una locanda in città, e che vorrebbe salutarvi."

Sentendo quel nome, alla Contessa si illuminarono improvvisamente gli occhi e, prima che il marito potesse farle qualche domanda in merito, la donna era già schizzata fuori dallo studiolo per correre ad accogliere l'inatteso ospite.


 Virginio aspettava appena oltre il ponte levatoio, proprio sulla soglia del grosso portone di Ravaldino, con indosso abiti da viaggio leggeri, gravati solo da una corta cotta di maglia che aveva imparato a non abbandonare mai durante i tragitti lunghi, soprattutto di quei tempi.

Aveva il viso impolverato ed era ancora sudato per la lunga cavalcata, tuttavia, quando finalmente vide arrivare da dentro la rocca la Contessa Sforza Riario, le sue labbra si allargarono in un sorriso tanto luminoso da rendere lo sporco del viaggio un mero dettaglio.

Caterina, seguita a brevissima distanza da due uomini, gli si parò davanti: "Allora siete proprio voi!" esclamò.

Non era più la giovane sì e no ventenne che Virginio ricordava, ma una donna matronale, dall'aspetto sicuro e fiero. Anche se i capelli biondi erano ancora lunghi e sciolti sulle spalle e il suo passo veloce, sul suo volto Virginio lesse tutti i momenti bui che aveva passato. Malgrado ciò, però, la gioia di rivederla era ugualmente prorompente.

Con una risata che saliva dal profondo delle sue viscere, l'uomo allargò le braccia e la Contessa non si fece pregare per salutarlo con un informale abbraccio, dinnanzi agli sguardi attoniti dei due che la seguivano e delle guardie che facevano la ronde sui camminamenti sopra alle loro teste.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora