Capitolo 312: Neminem cito accusaveris, neminem cito laudaveris

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  Per gran parte della cena, mentre gli altri erano immersi in conversazioni amene e di vario genere, la Contessa si confrontò con il castellano e con Luffo Numai in merito alle novità arrivate dalla Schiavonia.

Il Magistrato aveva, secondo la sua ultima lettera, trovato davvero un buon affare, reso ancora più vantaggioso grazie alla lettera di garanzia del Medici. L'unico intoppo stava nel fatto che il carico avrebbe dovuto passare per Rimini, pagando al Malatesta la tassa corrispondente.

Mentre ne discuteva, Caterina era stata più volte tentata di coinvolgere anche Giovanni, ma poi, quando lo guardava e lo vedeva seduto praticamente dall'altra parte del tavolo, si rendeva conto che avrebbe dato troppo nell'occhio e così si era decisa a metterlo a parte di tutti quei dettagli a festa finita.

Lo vedeva distratto da qualcosa e, ma forse esagerava a leggere così tanto cose dietro ai suoi occhi chiari, sofferente per qualcosa.

Il Popolano stava fingendo di trovare molto interessanti le parole di uno dei segretari che la repubblica aveva messo alle calcagna sue e di suo cugino, quando, invece, la sue testa continuava ad altalenare tra due altri pensieri.

Il primo, purtroppo, era il dolore sordo e cocente che aveva alle gambe. Con il passare delle ore, il fastidio si era fatto tormento e l'uomo cominciava a dubitare di poter arrivare a fine serata senza doversi stendere da qualche parte.

Il secondo, invece, era tutto per la Contessa. E per il suo vestito che lasciava scoperta buona parte della schiena.

Giovanni aveva sentito dei commenti poco lusinghieri e decisamente volgari sorgere da alcuni dei commensali fiorentini che gli stavano attorno, e se n'era parecchio risentito. Tuttavia anche lui avrebbe preferito che la Tigre avesse indossato un abito meno vistoso. Già aveva l'attenzione di tutto – o quasi, visto che Simone non aveva occhi che per la sua novella sposa – gli uomini presenti, dunque non ci sarebbe stato bisogno di aizzarli ulteriormente.

"E così, se vi garba, ci si può mettere anche un po' di erbe aromatiche..." stava blaterando il segretario che aveva sequestrato Giovanni.

Il Popolano distolse lo sguardo dalla Contessa, e, stringendo i denti per non mandare al diavolo il suo interlocutore, fece un breve cenno del capo e provò a interagire commentando: "Ah, ma davvero..?"

Dopo un ultimo giro di dolci e qualche brindisi, i due sposi avevano aperto le danze, appena finito il pasto e molti dei commensali avevano seguito il loro esempio.

Non essendoci tanti invitati, la pista sembrava quasi vuota e, su richiesta di Simone Ridolfi in persona, la Contessa permise anche ai membri della servitù che non fossero in quel momento impegnati di unirsi ai festeggiamenti, dando così al ricevimento un taglio meno formale, ma decisamente più allegro.

"Posso ballare?" chiese Bianca, un po' titubante.

Quello che la frenava non era tanto il solito monito che gravava su di lei, ovvero la memoria del suo matrimonio con Astorre Manfredi, ma quanto più che altro il ricordo degli ultimi balli a cui aveva preso parte.

Durante uno delle ultime feste che si erano tenute alla rocca, prima della morte di Giacomo Feo, Bianca ricordava benissimo di aver danzato anche con Ludovico Marcobelli.

A volte, e quella era una di quelle terribili volte, aveva l'impressione straniante che tutti i giovani uomini con cui aveva ballato nel corso della sua breve vita fossero già morti.

"Sì, non ho nulla in contrario. Avanti, divertiti pure." concesse Caterina con un mezzo sorriso conciliante, pensando che pure sua figlia avesse bisogno, come tutti, di un momento di distrazione.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora