Capitolo 258: ...e 'l primo amore.

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Il sole si stava timidamente affacciando su Forlì, colpendo gli occhi cerchiati di stanchezza e timore dei suoi cittadini, che non avevano potuto trovare nemmeno un'ora di riposo in quella notte squassata da perquisizioni e arresti.

Mongardini aveva fatto sì che una discreta folla si radunasse davanti al palazzo dei Riario.

La Contessa non gli aveva dato alcuna indicazione su come giustiziare Don Domenico, ma il soldato aveva un'idea.

Tanto per cominciare, aveva convocato tutti i suoi provigionati, esentandoli per quelle ore dal compito ingrato di perquisire le case. Voleva che l'attenzione di tutti fosse sul corteo che avrebbe portato alla morte il prete.

Forse Don Domenico non era più colpevole di altri, ma di certo sarebbe stato il simbolo della punizione che spettava ai traditori. Bisognava colpirne uno in modo molto duro per far sì che tutti gli altri sapessero a cosa si andava incontro a far torto alla Contessa.

Quando le guardie delle carceri da Ravaldino portarono il condannato, che non si fece problemi a trascinare i piedi e fare ostruzionismo con ogni mezzo fino a che non giunse dinnanzi al suo strano plotone di esecuzione, Mongardini ordinò che venisse spogliato davanti a tutti.

Il prete, ferito da quell'umiliazione, lasciò che i pochi stracci che ancora portava indosso venissero squarciati e lasciati in terra.

Dalla folla si sollevarono esclamazioni di ribrezzo e stupore nel vedere la pelle orrendamente marezzata del prigioniero.

A tutti fu chiaro che tipo di tortura avesse scelto la loro signora con quell'assassino: la tortura del fuoco.

Si potevano indovinare senza sforza le forme dele punte arroventate che lo avevano a tratti sfiorato a tratti quasi trafitto e in più punti di vedeva il segno del passaggio della viva fiamma, che aveva mangiato interi lembi di carne.

Mongardini fece un cenno d'intesa con due dei suoi provigionati e questi gli porsero delle spesse e ruvide corde. L'uomo ne assicurò un capo alla coda del suo cavallo, un imponente stallone, e l'altro lo legò stretto ai piedi del condannato.

"Siamo pronti." disse il Capitano, dando il permesso ai suoi subalterni di disporsi a falange.

Mongardini fu l'ultimo a essere pronto e a salire a cavallo e prese posto sul suo stallone con un gesto plateale.

A un movimento quasi impercettibile della sua mano, il corteo partì e così fece anche lui.

Sorpreso dal movimento improvviso, Don Domenico rovinò in terra, battendo con forza la spalla, ma non perse conoscenza.

Il Capitano e i suoi si muovevano con voluta lentezza, in modo che il condannato non morisse subito, ma soffrisse e basta, torturato dall'impatto con il suolo che era a tratti sassoso e a tratti fangoso.

Seguiti dagli sguardi del pubblico, i provigionati e il prete si allontanarono dal centro, diretti al ponte dei Moratini.

Per tutta la strada, il condannato non fece altro che sciorinare professioni di fede e preghiere, ma il suo giustiziere non si lasciò né impietosire né spaventare da quell'aura di santità, più adatta a un martire che non a un assassino.

Giunti al ponte, Mongardini permise ad alcuni forlivesi che li avevano seguiti fino a lì di colpire il prete, a patto che non lo uccidessero.

Don Domenico venne così sfregiato sul volto e sul petto, dove le bruciature resero ogni fendente ancor più doloroso, ma non morì.

"Di nuovo alla piazza." ordinò con calma il Capitano e così il condannato riprese il suo calvario, trascinato dallo stallone nero.

Giunti in piazza, virarono verso le beccherie, dove Gian Antonio Ghetti aveva trovato la morte la sera prima.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora