Quando si svegliò, Bartolomeo capì subito che nell'aria c'era qualcosa di strano. Con lentezza, aprì gli occhi e si guardò attorno.
Dalla luce che cercava di filtrare dalle spesse tende, era probabile che fosse già pieno mattino. Il camino era quasi spento e l'odore delle ceneri era ben riconoscibile nell'aria stantia della camera.
Sentendosi un po' tutto rotto per la posizione fissa e innaturale in cui aveva dormito, l'uomo cercò di sgranchirsi senza muoversi troppo.
Solo in quel momento un dettaglio attirò la sua attenzione, facendogli gelare il sangue nelle vene.
La mano della moglie, che stringeva ancora nella sua, non era più solo fredda, ma decisamente gelata e rigida.
Con il cuore che batteva più di un tamburo da guerra, Bartolomeo sollevò gli occhi verso il volto della sua donna e lo vide, anche con quella scarsa illuminazione, pallido come un cero e immobile.
Sapeva benissimo cos'era successo, ma il suo cervello si rifiutava di accettarlo. Deglutendo a fatica, la bocca tanto secca da avere la lingua completamente impaniata, riappoggiò la nuca alla testiera e cercò di respirare più lentamente.
Ora sentiva nettamente il corpo freddo e immobile di Bartolomea accanto a sé e sapeva che era morta.
La guardò di nuovo, questa volta quasi con paura, e si costrinse a studiare ogni dettaglio del suo volto. Il naso s'era fatto affilato, le labbra erano quasi blu e un po' aperte, secche e mute. La consapevolezza improvvisa che quelle labbra non avrebbero mai più fatto il suo nome, né l'avrebbero più baciato si aggrappò al suo cuore come una tenaglia, togliendogli il respiro.
Gli occhi erano rimasti chiusi e non aveva un'espressione sofferente. Quale che fosse l'ultimo colpo che l'aveva uccisa, non doveva averla fatta patire.
Con estrema delicatezza, Bartolomeo fece scivolare via la sua grande mano da quella marmorea della moglie e poi, con passo silenzioso, come se avesse paura di svegliarla, andò alla porta, continuando a voltarsi per guardarla.
Non appena fu fuori dalla loro stanza, non riuscì più a trattenersi e scoppiò in lacrime, accasciandosi al suolo.
Attirati dagli ululati che il loro padrone stava lanciando senza sosta, una mezza dozzina tra servi e domestiche arrivarono fino a lui e quando lo videro in quello stato di prostrazione, compresero cosa doveva essere accaduto e, mossi da un sincero senso di perdita, lo accompagnarono nel piangere la signora di Bracciano.
"Se però non dovesse scriverti – fece Giovanni, mandando giù un po' di verdure – allora forse dovremmo farlo noi."
Caterina aveva riferito al marito il suo colloquio con l'oratore milanese con un paio di giorni di ritardo.
Da un alto aveva paura che il Medici la riprendesse, chiedendole perché mai non avesse seguito il piano iniziale che prevedeva una distensione dei rapporti con Milano e non un loro inasprimento. E dall'altro aveva voluto prima ragionarci un po' per conto suo.
"Hai notizie da Firenze?" gli chiese la Tigre, facendosi versare un po' di acqua.
Da un paio di settimane aveva una strana repulsione verso il vino. In altri momenti si sarebbe preoccupata di una variazione tanto repentina in se stessa, ma anche nelle sue passate gravidanze si era trovata a cercare o evitare cibi e bevande senza apparente motivo.
Giovanni scosse la testa: "No, mio fratello non mi ha più scritto. E non mi ha ancora nemmeno mandato i miei soldi."
"Forse ha avuto dei contrattempi." minimizzò Caterina, mentre Bianca e Galeazzo li raggiungevano a tavola.
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Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)
Ficción histórica(Troverete le prime due parti sul mio profilo!) Caterina Sforza nacque nel 1463, figlia illegittima del Duca di Milano e di una delle sue amanti, Lucrezia Landriani. Dopo un'infanzia abbastanza serena trascorsa quasi per intero tra le mura del...