Capitolo 275: Errat autem qui amicum in atrio quaerit, in convivio probat

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La cappa grigia e umida che si stendeva su Cusercoli non impensieriva Achille Tiberti, a metterlo in guardia era piuttosto l'atteggiamento delle guardie alle porte della città.

Entrare era stato troppo semplice e non lo convinceva l'apparente indifferenza della rocca, che pareva disabitata, senza nemmeno un osservatore dietro le merlature.

Nonostante ciò, diede voce a Cicognani e questi ordinò ai soldati di cominciare a dare fuoco alle case, in modo da stanare qualcuno con cui poter parlamentare.

Stavano dando alle fiamme la terza abitazione di legno, quando un sonoro colpo di cannone fendette l'aria e venne seguito dal pesante tonfo della palla di ferro che mancò di poco i soldati di Tiberti.

"Indietro!" gridò il comandante, tenendo a bada il cavallo spaventato, mentre un secondo colpo partiva dalla rocca: "Tornate indietro! Fuori dalle mura! Fuori!"

Il suo ordine, però, non fu abbastanza repentino da evitare alle sue truppe di subire le prime effettive perdite di quella guerra.

Dopo aver ripiegato oltre il confine di Cusercoli, Cicognani disse a Tiberti: "Quello che ha preso la rocca è il Gottifredi minore. S'è messo in testa di opporsi a noi e ci lancerà contro tutte le munizioni che ha. Suo fratello avrebbe più testa di lui, ma nessuno sa dire dove sia scappato..."

Achille ragionò in fretta, mentre uno dei feriti che si era riusciti a portare via veniva trascinato di peso in un punto tranquillo, in modo da poterlo medicare: "Va bene. Scriviamo subito alla Contessa, che ci dica cosa dobbiamo fare. Se dobbiamo andare avanti, andremo avanti, ma chiediamo di avere dei rinforzi."

Cicognani annuì e diede una pacca sulla spalla all'altro: "Questa guerra ce la portiamo a casa, Tiberti, te lo dico io. Possono buttarci addosso anche tutte le palle di cannone d'Italia, che io non mi tiro indietro."


 A Forlì era appena arrivato il resoconto di Tiberti e Cicognani, direttamente dal fronte di Cusercoli.

Caterina aveva letto degli intoppi incontrati dai suoi comandanti – i primi, dall'inizio della campagna – e aveva compreso la loro indecisione sul da farsi, ma non era il momento di retrocedere. Se avessero mostrato che due colpi di cannone erano sufficienti a farli desistere, prima di sera avrebbero avuto al collo le zanne dei signori di mezza penisola.

"Mia signora..." Cesare Feo aveva bussato piano alla porta già aperta della stanza della Contessa.

La donna alzò lo sguardo, ripiegando in due la lettera che teneva tra le mani, e attese che il castellano continuasse.

"C'è un uomo che chiede di voi." disse Cesare, aggrottando un po' la fronte: "Dice di venire da Cusercoli e di chiamarsi Gottifredi e di essere il fratello maggiore del Gottifredi che vi sta dando battaglia. Chiede di poter entrare alla rocca e parlamentare in privato."

Caterina si passò tra le dita la lettera di Tiberti e si morse il labbro: "È qui da solo? Ha detto qualcosa in più sul perché è qui?"

Il castellano annuì: "Si è presentato completamente solo. Però, no, non ha detto nulla di più, se non che vuole vedervi di persona per parlarvi."

Era chiaro che il Gottifredi fosse a Forlì per chiedere aiuto. Caterina sapeva che tra i due fratelli non correva buon sangue e immaginava bene come l'uno fosse stato messo contro l'altro dall'ormai defunto Guido Guerra, che aveva avuto una grossa influenza su Cusercoli.

"Va bene – concluse la Tigre – perquisitelo e disarmatelo, se ha con sé qualcosa di pericoloso. Poi fatelo attendere nella saletta piccola. Fate portare un po' di vino e qualcosa da mangiare."

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora