Capitolo 409: Incipe, parve puer...

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Il piccolo Ludovico stava gorgheggiando come tutte le volte in cui faceva mostra di voler ridere.

Non era semplice, divertirlo, ma Giovanni sapeva sempre come riuscirci. Anche in quel momento, nella stanza più fresca della rocca – scelta per contrastare il caldo dei primi giorni di luglio – il Medici teneva tra le braccia il figlio e, solleticandogli il mento a ogni verso, gli stava recitando una egloga di Virgilio.

Anche se chiaramente il bambino non capiva una parola, i suoi occhi, terribilmente svegli e attenti, seguivano le labbra carnose del padre e si illuminavano ogni qual volta le vedevano sorridere. Era allora che faceva i suoi versetti contenti e Giovanni, vinto dalla bellezza del piccolo, doveva trattenersi dal ridere a sua volta e andava avanti con voce più sicura e con tono ancor più teatrale.

Caterina lo guardava in silenzio, seduta sulla poltrona che aveva spostato dalla luce calda che filtrava dalla finestra. Vedere suo marito giocare a quel modo con Ludovico le scaldava il cuore più di qualsiasi altra cosa, eppure le metteva anche addosso una certa tristezza.

La donna teneva l'indice premuto contro le labbra, in un atteggiamento pensoso, e l'altra mano tamburellava a ritmo scostante sul bracciolo della poltrona.

I suoi capelli, biondi e bianchi, ricadevano sciolti sulle spalle e i suoi occhi verdi distoglievano raramente la loro attenzione da Giovanni e Ludovico.

Eppure, benché apparisse concentrata solo sul marito e sul figlio, ad affollarle la mente c'era ben altro.

Le era arrivata una lettera da parte di uno dei Capitani che aveva messo alle calcagna di Ottaviano nella speranza che il ragazzo potesse evitarle qualche figuraccia, e il panorama che le era stato descritto non le pareva dei più rosei.

L'uomo spiegava che, contravvenendo in parte a quanto richiesto da Lorenzo Medici, Ottaviano aveva chiesto un giorno in più di sosta a Firenze, per riprendersi dal viaggio che si era dimostrato più difficile del previsto. E poi, una volta partiti, il giovane aveva ulteriormente cercato di rallentare i lavori, quasi sperasse davvero di indurli a riportarlo in Romagna con qualche scusa.

A parte questo, il Capitano spiegava che l'accoglienza dei Medici era stata cortese, ma fredda, e che la Signoria aveva chiesto due volta la rassegna, ma che molti dei suoi membri parevano, nel farlo, deridere Ottaviano per la sua pochezza, più che lusingarlo per la sua forza.

Si passava poi a elencare i condottieri che erano al campo pisano, passando dal comandante generale, Vitelli, a personaggi accorsi con un numero decisamente inferiore di uomini, ma che, per nome, erano per la Tigre assai più importanti. Un esempio tra tutti: Ottaviano Manfredi.

Il Capitano nella lettera aveva fatto solo un accenno a lui, spiegando di avervi bevuto assieme un paio di calici, la sera dell'arrivo al campo e di aver inteso che l'esule faentino fosse ben intenzionato verso Imola e Forlì e che, anzi, non fosse del tutto avverso al pensiero di un'alleanza.

'Magari volta a ledere Astorre, cugino di lui' aveva aggiunto lo scrivente.

"Incipe, parve puer, risu cognoscere matrem – stava dicendo Giovanni, sorridendo al figlio con un velo di malinconia che infine velava le sue iridi chiarissime – matri longa decem tulerunt fastidia menses. Incipe, parve puer..."

La Contessa si sistemò sulla poltrona, nel vedere il viso del marito farsi davvero serio e quello di Ludovico scurirsi di rimando.

L'uomo diede un leggero bacio sulla fronte del figlio e concluse, quasi di fretta: "Cui non risere parentes, nec deus hunc mensa dea nec dignata cubili est."

Il bambino pareva perplesso. Aveva tre mesi ed era florido e forte. Sulla sua salute il medico di corte non aveva alcun dubbio e anche il modo in cui, con una certa insistenza, stava protendendo la piccola mano verso il padre, quasi a volerlo consolare per qualcosa, lasciava intendere quanto fosse attento a tutto ciò che lo circondava.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora