Capitolo 274: Io stesso ero divenuto per me un grande enigma

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Guido Guerra non si stupì più di tanto nel vedere, ritto in mezzo alla piazza centrale della città in sua attesa, Pandolfo, che in molti a Rimini chiamavano Pandolfaccio, forse perché figlio illegittimo, nato da Elisabetta Aldovrandini, una delle tante amanti di Roberto Malatesta.

Il signore di Cesena fece un cenno agli uomini che lo seguivano affinché lo lasciassero proseguire da solo.

Pandolfo aveva poco più di vent'anni, era allampanato, con scuri capelli che scendevano dritti come fili fino al collo e dai quali, davanti, spuntava solo il naso lungo e spiovente che rendeva il suo profilo inconfondibile.

Nel rivederlo dopo tanto tempo, Guido sentì di nuovo ribollire la rabbia per il passato e si ricordò all'improvviso di tutti i motivi che li avevano portati a scontrarsi quando erano ancora solo dei ragazzini imberbi.

"Signor Conte!" esclamò il Pandolfaccio, andando incontro al suo ospite a braccia aperte, seguito da un paio di guardie armate.

Guerra smontò da cavallo e accettò l'abbraccio del signore di Rimini, benché gli paresse un gesto eccessivo, visto come si erano lasciati l'ultima volta. Tuttavia, Guido sapeva di aver difronte a sé la sua ultima speranza, quindi non fece lo schizzinoso e si impose di non smontare l'apparente buon umore dell'altro.

"Venite alla rocca – disse il Malatesta, prendendo sottobraccio l'ospite e consegnando le redini del suo cavallo a una delle guardie – mia madre ha fatto preparare un pasto da re e credo che sarà un ottimo modo per tornare amici. A pancia piena, potremo parlare."

Guido Guerra fece del suo meglio per sorridere, sforzandosi di dimenticare all'istante tutte le devianze mentali e le brutture di cui sapeva Pandolfo capace. Se voleva riuscire a mantenere la calma, evitando altri incidenti, doveva fingere che l'uomo che lo stava scortando verso la rocca altri non era se non un simpatico giovane che aveva deciso di fare con lui fronte comune contro la spregevole Tigre di Forlì.

Quando arrivarono alle porte della rocca, il Malatesta disse, in tono confidenziale: "Congedate i vostri soldati..." e indicò con un cenno del capo il manipolo di armigeri che avevano seguito a breve distanza il signore di Cesena: "Dite loro di passare una notte piacevole in città. Hanno bisogno di svagarsi un po', se poi vogliamo che riescano ad abbattere una Leonessa."

Guerra titubò un istante, ma poi il sorriso aperto e luccicante del Pandolfaccio lo fece acconsentire e così congedò i suoi con fare sbrigativo, sottolineando: "Domani mattina all'alba, però, vi voglio tutti qui."

Appena i soldati cesenati furono scomparsi di nuovo per le vie della città, Malatesta fece segno al suo ospite di entrare pure nella rocca: "Non avrei mai creduto di potervi avere qui, e come alleato, finalmente." disse il signore di Rimini: "Insieme possiamo fare grandi cose, se accantoniamo per qualche tempo le nostre divergenze d'opinioni."

Il Conte Guerra sollevò un po' il labbro superiore, non riuscendo più a sorridere, ma solo a mostrare un mezzo ghigno che, comunque, Pandolfo finse di interpretare come segno di buona volontà.

Passarono insieme il portone della rocca, l'uno sottobraccio all'altro, ma, appena si trovarono al riparo degli spessi muri di pietra, il Malatesta lasciò di scatto il Conte e si discostò repentinamente da lui.

Guido non fece in tempo a capire quello che stava accadendo, che alcuni uomini, almeno mezza dozzina, lo bloccarono, afferrandolo saldamente per le braccia, per le gambe e per i capelli.

Mentre il signore di Cesena si divincolava nella loro stretta, le sue urla di panico vennero zittite dalla mano di Pandolfo, premuta con forza sulla sua bocca.

Il Malatesta fece un breve cenno e uno degli sgherri che stava alle spalle di Guido Guerra alzò un pugnale e gli tagliò la gola, tanto a fondo che avrebbe finito per decapitarlo del tutto.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora