Capitolo 314: Cras ingens iterabimus aequor

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 Cesare Riario setacciava il volto di sua sorella Bianca di sottinsù,con uno sguardo inquisitore che ultimamente non abbandonava quasimai.

Quello che gli era appena stato detto lo aveva al contempo sorpresoe irritato. Non aveva ancora avuto il coraggio di chiedere a nessunocome fosse morto esattamente suo fratello Livio, ma quella mattina,essendosi trovato solo con sua sorella, che pareva l'unica tra igiovani Riario a essere davvero informata sui fatti, le aveva chiestocosa ne sapesse.

Cesare sapeva che Galeazzo era rimasto nella stessa stanza di Livioquasi fino all'ultimo, ma il bambino non gli aveva voluto parlare diquel giorno funesto. 

Similmente a come faceva la loro signora madre, il quasi undicenneGaleazzo, infatti, si era chiuso in un silenzio sacrale, quando sidiscuteva di certi argomenti e sembrava ben deciso ad andare avantiper la sua strada, senza rivangare troppo il passato.

Dunque non restava che chiedere a Bianca, che in effetti non loaveva deluso e aveva riferito che Livio era morto, come si sapeva,per colpa dell'epidemia, anche se la malattia era stata moltoaggravata dalle sue già molto precarie condizioni di salute, e chela loro signora madre era rimasta fino all'ultimo da sola con lui. 

"Di certo l'ha confortato." disse piano la ragazzina, che però si trovò a dover lavorare di fantasia, su quel punto: "L'avrà stretto a sé, gli avrà detto parole d'affetto..."

"Nostra madre?" chiese Cesare, con uno sbuffo beffardo eincredulo: "Figuriamoci! Io me la vedo, in un angolo, a guardarlocon occhio torvo mentre muore, pensando che si tratta solodell'ennesima seccatura ricevuta come condanna per l'unione connostro padre... Sì, si sarà messa lì a fissarlo, senza nemmenoavere un moto di..."

"Taci!" lo rimbrottò Bianca, cominciando a mettere a posto ilibri che aveva sparso sulla scrivania in cerca di qualcosa distimolante da leggere: "Nostra madre non è come la credi tu. Tu lavedi con il velo dell'odio, ma se ti sforzassi di guardare oltre..!Sei ingiusto. Di certo, ne sono sicura, ha abbracciato Livio finoalla fine. Non l'ha lasciato morire da solo."

"Meglio una madre che ti è vicina quando sei viva, di una che tiabbraccia solo perché stai morendo." ribatté con astio Cesare.

"Quando fai così, sembri Ottaviano." lo riprese la ragazzina,senza più guardarlo.

Quella frase parve accendere qualcosa di molto spiacevole nelgiovane, che si rabbuiò e abbassò la voce: "Io non sono comeOttaviano."

La sorella smise per un momento di muovere le mani sulle copertinedi pelle pregiata che stava fingendo di controllare. Il tono con cuiCesare aveva parlato le aveva messo i brividi. Per un momento, si erachiesta chi fosse diventato peggiore, tra lui e Ottaviano.

"Ah, sì? Sei diverso da lui? E perché? Solo perché preghi tuttoil giorno?" rimbeccò Bianca, prendendo un volume a caso, l'ultimoche era rimasto fuori dallo scaffaletto.

"Hai la lingua troppo affilata, per essere una donna." notò Cesare, risentito.

"Vattene in Duomo a dire i tuoi rosari, prete." lo liquidò laragazzina, che era stufa di prendere ordini dai suoi fratelli, Cesareprimo fra tutti.

Il suo atteggiamento paternalistico da prelato la irritava sopraogni altra cosa. Da quando Ottaviano era stato liberato ed eradiventato un mezzo emarginato, Cesare sembrava essersi ammantatodella responsabilità di tenerla sott'occhio, come un tempo faceva ilfratello maggiore.

Era una guardia meno perentoria e meno aggressiva di Ottaviano, ma aBianca stava stretta comunque. Benché riuscisse ugualmente a passaredel tempo coi suoi amici - perché tali considerava la maggiorparte dei soldati della rocca - Cesare era sempre dietro l'angolo arimbrottarla, se si accorgeva dei suoi passatempi.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora