Capitolo 370: Dica pur chi mal vuol dire, noi faremo e voi direte.

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"Ascanio sostiene che in Vaticano non si parli d'altro che di riforme." disse Ludovico, guardando Giovanni Sforza con un'espressione annoiata: "Ha spedito i suoi figli al sud, togliendoseli di torno, come aveva promesso di fare."

"Ma Lucrecia..." cominciò il pesarese, che aveva già i bagagli pronti per tornarsene a casa, ma che non accennava a dare ordine alla sua scorta di mettersi in marcia.

"Vostra moglie s'è chiusa in convento e per quanto ne sa Ascanio non ne uscirà tanto presto. Che abbia avuto la vocazione, o che il papa se la voglia tenere lontano per espiare le sue colpe non è dato a noi di saperlo." fece il Moro, sbrigativo: "Fatto resto che Alessandro VI un mese fa ha scritto al re di Spagna dicendo che intende fare questa benedetta riforma e poi ritirarsi in un monastero a vita per pregare, lasciando perfino il suo scettro papale."

"Non ci credo, non è possibile." disse subito Giovanni che, durante i suoi soggiorni a Roma aveva imparato molto bene a capire quegli eccessi del papa: "Cambierà idea prima che sia autunno e a quel punto..."

"Ascanio sostiene che il Borja ha anche accettato una lettera di Savonarola che gli porgeva le sue condoglianze intimandogli di pentirsi per tutti i suoi peccati..." fece Ludovico, quasi sperando che quella notizia convincesse il parente della buona volontà del Santo Padre.

"Chiacchiere! Rodrigo Borja è capace di inchinarsi davanti a qualcuno al mattino e sgozzarlo alla sera!" s'infervorò Giovanni che con il caldo afoso che investiva Milano, quel giorno non faceva che sudare.

"Allora – riprese il Duca, che aveva trovato in un primo momento quasi divertente la presenza del parente alla sua corte, ma che ormai cominciava a non sopportarlo davvero più – se lo conoscete così bene non vedo perché vi ostiniate a tenere in piedi il matrimonio con sua figlia! Fate come dite lui! Dite a tutti di non averla mai conosciuta e fate dichiarare nullo il matrimonio! Ci libereremo tutti di un peso!"

"Ma..." riprese Giovanni, perdendo un po' della sua vivacità, mentre dalla porta entrava Bartolomeo Calco.

"Perdonatemi, devo fare cose di massima urgenza..." fece il Moro, liquidando il parente e avvicinandosi al cancelliere.

"Partirò domani mattina." concluse Giovanni Sforza, che dopo quel breve scambio aveva capito che cercare aiuto tra i consanguinei non gli avrebbe giovato.

Nella lista gli restava solo la signora di Forlì, ma dopo gli screzi che negli anni avevano portato i pesaresi e i forlivesi a scontrarsi per la questione dei pedaggi, non era certo di trovare in lei un appoggio. E anche se l'avesse trovato, che poteva fare una donna con uno Stato tanto piccolo, per proteggerlo dal papa?

"Andate con Dio, Giovanni." lo salutò il Duca, sollevando appena gli occhi dalle carte che Calco gli aveva messo in mano: "Non scomodatevi a salutarmi, prima di partire. Consideratela cosa fatta."


 Caterina stava guardando Bernardino duellare con le spade di legno assieme a Galeazzo. Le piaceva vedere come i due fratelli andassero d'accordo e quei momenti le davano un certo senso di pace.

Il cortile era deserto, a parte lei e i suoi due figli. Stava calando la sera e nell'aria si sentiva ancora l'odore pungente della giornata di solleone che aveva infiammato Forlì e le campagne che la circondavano.

Giovanni stava adempiendo a della corrispondenza e così la Sforza era scesa a vedere Galeazzo e Bernardino che, non paghi di un'intera giornata passata con i soldati, ancora si davano da fare, anche se con un tono molto più giocoso che non in presenza del maestro d'armi.

La Tigre aveva preso uno sgabello da campo e, stando nel punto più in ombra, si era messa in osservazione, facendo attenzione, di quando in quando, a quello che le sembrava di sentire dentro di sé.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora