Capitolo 310: Non semper temeritas est felix

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Bartolomea Orsini passò in rassegna quelli appena arrivati al castello di Bracciano e poi, con un cenno perentorio del capo, ne scarto due: "Nelle cucine. Siete troppo messi male per combattere."

I due, uno senza una mano e l'altro senza più un occhio, fecero un mezzo inchino e lasciarono docilmente la fila per seguire uno dei servi che li avrebbe scortati nei loro nuovi alloggi.

La signora di Bracciano sospirò pesantemente, fissando gli altri. Quelli erano solo una manciata di uomini. Ogni giorno ne arrivavano di nuovi, ma spesso erano più quelli inservibili di quelli ancora in grado di tenere in mano una spada.

Sistemandosi il cinturone, la cinquantanovenne cominciò a camminare con passo cadenzato davanti ai nuovi arrivati. Questi si misero a schiena dritta, come se si fossero trovati ancora davanti il loro comandante, Virginio Orsini.

Bartolomea ne fu felice e pensò che fosse stato proprio suo fratello a dire loro, in caso di necessità, di seguirla come avrebbero fatto con lui.

Dopo la tragica disfatta di Atella, Virginio era stato catturato, ma i suoi uomini, quelli che erano riusciti a salvarsi dalla furia dei contadini della zona, avevano cominciato a ridiscendere verso Bracciano, raggiungendo il castello e chiedendo a Bartolomea di poter restare al servizio degli Orsini.

Anche Bartolomeo d'Alviano era stato catturato, poco dopo il cognato, ma, prima che Ferrandino morisse, era riuscito a scappare da Castel dell'Ovo, eludendo la sorveglianza. Purtroppo, però, non era riuscito a portare con sé Virginio, né nessun altro.

Appena era stato in grado di farlo, aveva scritto alla moglie e questa gli aveva ordinato di radunare più soldati possibile dalle parti di Anguillara e dintorni, perché i papisti stavano puntando quelle terre e avrebbero di certo provato a prendersele con la forza.

"Soldati – cominciò Bartolomea, mentre i suoi pensieri correvano a suo marito, che in quel momento, probabilmente, stava reclutando contadini e pastori da portare con sé quando fosse rientrato a Bracciano – vi do il benvenuto nel mio castello. Ora vi daranno abiti con cui cambiarvi e poi il maestro d'armi vi fornirà spade e armature."

La manciata di armigeri che le stava davanti ascoltava con attenzione e qualcuno parve rincuorato dall'idea di poter aver presto degli abiti da indossare. Nella fuga dalla morte, in molti si erano trovati ad avere addosso solo qualche brandello di stoffa, del tutto insufficiente a riparare dall'aria pungente dell'inverno in arrivo.

"Dopodiché parlerete con il Capitano delle guardie, che vi spiegherà i nostri piani di difesa." fece la donna, mentre, a ogni passo, la sua armatura a scaglie tintinnava ritmicamente.

Quando li ebbe congedati, Bartolomea andò dal suo cancelliere. L'uomo l'aveva fatta cercare, ma l'Orsini aveva voluto prima di tutto dare il suo saluto ai nuovi soldati, convinta che fosse il modo migliore per accattivarseli fin da subito e far di loro difensori eccellenti.

"Avanti, cos'è successo ancora? Si tratta di mio fratello?" chiese la donna, sedendosi pesantemente sulla sedia dinnanzi al cancelliere, le gambe allargate, fasciate da brache che erano state di suo padre: "È morto? Hanno chiesto un riscatto?"

L'altro scosse il capo, mentre la sua signora si sporgeva per prendere dalla scrivania la mela che il cancelliere aveva lasciato a metà.

"Niente di tutto questo – precisò l'uomo, mentre Bartolomea masticava il frutto a bocca aperta – si tratta del papa. Ha confiscato tutti i beni degli Orsini, compreso questo castello."

La donna spalancò gli occhi, deglutì il boccone e poi scoppiò a ridere. Infilò un paio di pesantissime bestemmie di scherno rivolte a Sua Santità e poi, con un gran fracasso di ferraglia, si rialzò di scatto.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora