Lorenzo il Popolano ringraziò il messaggero e spostò il piatto, in modo da poter appoggiare le lettere sul tavolo.
La moglie Semiramide lo guardò con severità, contrariata dall'informalità con cui il marito si comportava durante i pasti in famiglia, ma l'uomo non le diede peso. Da giorni lui e il fratello Giovanni erano sulla graticola per quello che stava accadendo in Romagna.
I loro interessi economici negli scambi con Forlì erano fortemente a rischio, soprattutto perché sembrava impossibile capire se e quando la Contessa Sforza Riario avrebbe ricominciato a comunicare con loro. Erano forse gli unici a Firenze, in quel periodo, a potersi vantare di avere una via di dialogo con la Tigre, ma anche loro, dalla morte del Barone Feo, si erano scontrati con un muro di pietre.
Per il momento, tutte le notizie che avevano ottenuto erano risicate e strappate quasi a forza da corrispondenti di fortuna e nemmeno la Signoria sembrava capace di sapere con esattezza che stesse capitando in quello Stato a loro così prossimo.
Quando i Popolani avevano saputo dell'omicidio di Giacomo Feo e della conseguente pronta reazione della Tigre, non avevano potuto fare a meno di restarne fortemente impietositi, seppur ognuno a modo suo.
Lorenzo, dopo un primo momento di comprensione, aveva condannato, almeno a parole, la condotta della Contessa, mentre Giovanni l'aveva scusata in modo fin troppo tollerante, dicendo che quello che le era stato fatto era il torto più grande di tutti e che quindi la reazione poteva essere benissimo quella più spietata di tutte, senza che per questo si dovesse biasimare la mano che metteva in atto.
Il Medici più vecchio lesse in fretta e commentò: "Nulla di nuovo. Solo una cosa, dicono che si sta muovendo di nuovo qualcosa, che Ottaviano Manfredi sia stato avvistato in Romagna, in questi giorni. In ogni caso, non ci ha fatto sapere nulla, quindi non vedo perché dovremmo credervi."
"E della Sforza che si dice?" si informò Giovanni, che aveva davanti solo un po' di verdure fumanti in brodo e un calice d'acqua.
Lorenzo sospirò, rigirando una delle lettere per andare a rileggere un passaggio in particolare: "Si dice che ormai ha sterminato o comunque almeno arrestato gran parte della vecchia nobiltà del suo Stato e che nemmeno il papa si è ancora azzardato a muovere un dito per placare la sua ira."
"Nulla di nuovo, quindi." commentò Semiramide, chiamando uno dei servi affinché le versasse ancora un po' di vino.
"Deve averlo amato parecchio, per essere tanto implacabile..." fece tra sé Lorenzo, ripiegando tutti i messaggi e riprendendo a mangiare, dimostrandosi un po' più morbido rispetto alle sue prime invettive contro la Leonessa.
"Deve essere bello, amare tanto qualcuno, anche se si rischia di soffrire in modo così orribile." si pronunciò Giovanni, prima di portarsi alla bocca una cucchiaiata di minestrone: "Voi due non trovate?" chiese al fratello e alla cognata.
Semiramide fece spallucce, ma i suoi occhi luminosi gli davano ragione, mentre Lorenzo ne approfittò per cambiare un po' argomento: "E tu? Quando te la trovi una bella donna con cui metter su famiglia? A noi fa piacere averti qui, ma tra un mese compirai ventotto anni. Cominci a essere vecchio."
Giovanni incassò bene il neanche tanto velato insulto finale e promise: "Se mai mi dovessi innamorare, prometto che metterò su famiglia."
"Dalle tue stanze è passata una quantità di donne più che rispettabile – lo incalzò il fratello, riprendendo a mangiare con gusto – possibile che in mezzo a loro non ce ne fosse nemmeno una degna delle tue attenzioni!"
"Ce n'erano, eccome, ma la mattina dopo tutto l'interesse era già andato via." sorrise il Popolano più giovane, strappando una mezza risata anche alla cognata.
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Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)
Historical Fiction(Troverete le prime due parti sul mio profilo!) Caterina Sforza nacque nel 1463, figlia illegittima del Duca di Milano e di una delle sue amanti, Lucrezia Landriani. Dopo un'infanzia abbastanza serena trascorsa quasi per intero tra le mura del...