"Questa tregua è una beffa!" inveì Giampaolo Baglioni, togliendosi l'elmo e gettandolo in terra con rabbia, digrignando i denti e sporgendo in fuori il mento pronunciato.
I suoi occhi, che parevano privi di ciglia per quanto erano corte, restavano puntate verso Virginio Orsini, mentre cominciava a sciogliere i primi laccetti dell'armatura, scacciando con le grosse mani quelle nervose e tremule del suo povero attendente, che cercava invano di aiutarlo.
L'assedio a Gualdo Cattaneo, dopo un paio di assalti a dir poco tiepidi, comandati personalmente da Virginio, si era concluso di comune accordo tra assediati e assedianti, in barba alle proteste dei due Baglioni che si erano prodigati per una vittoria schiacciante.
"Non avete più la fibra di una volta, Orsini..." fece deluso Astorre Baglioni, appena più calmo del consanguineo, afferrando la borraccia che il suo scudiero gli stava offrendo: "Una volta non avreste accettato una tregua. Sareste morto sul campo, pur di non cedere!"
Virginio tossì un paio di volte, bevve lunghe sorsata d'acqua e poi si passò lo straccio sul collo, cercando di togliere un po' di sporco della battaglia.
Era vero, quello dicevano di lui, ma era altrettanto vero che quella volta l'Orsini aveva agito con più cognizione di causa di quelli che lo stavano accusando.
Il loro campo stava già preparando le operazioni di smantellamento e i comandanti, com'era da aspettarsi, si erano subito riversati nel suo padiglione per prenderlo a male parole.
Era stato lui, in fondo, a parlamentare con i nemici. Lui ad accettare la resa. Lui a decidere che la battaglia doveva finire lì e in quel modo. Lui a prendere una posizione a nome di tutti quanti. Si meritava qualche tirata d'orecchia.
Tuttavia Virginio non ne era pentito. Se aveva agito a quel modo, lo aveva fatto perché aveva ottimi motivi.
Prima di tutto, c'erano i soldi dei folignati, che lo avevano ben retribuito affinché fingesse solamente di impegnarsi in quell'assedio. Era sempre un uomo in vendita, e, per quanto da giovane faticasse ad accettare la sua condizione, con gli anni era sceso a patti con la propria coscienza e aveva imparato a ragionare esclusivamente in termini di guadagni e compensi. Dunque non c'era da stupirsi – né da rimproverarlo – se aveva preferito un incasso sicuro e ingente da parte dei potenti di Foligno, piuttosto che la vana speranza di strappare al nipote o a chi per esso altrettanto oro.
In secondo luogo, c'era la totale e abissale mancanza di fiducia di Virginio nei confronti di Piero Medici. Prima poteva dire di non conoscerlo abbastanza bene da dare un giudizio su di lui, ma da quando lo aveva incontrato a Siena, la sua opinione si era fatta drastica e immutabile. Il Fatuo era di nome e di fatto un inetto e restaurarlo, incentrando una Signoria su di lui, creando una Firenze a suo uso e consumo era quanto meno da irresponsabili. E Virginio, non senza un certo orgoglio, sentiva di potersi definire un uomo dallo spiccato senso di responsabilità, suprattutto a riguardo di se stesso e del bene della propria famiglia.
Era un mercenario, ma aveva anche un cervello. E una città come Firenze non era da lasciare nelle mani di un simile bamboccio.
Se avesse condotto quella campagna nel modo giusto, se fosse riuscito a convincere anche la Sforza della validità di quell'azione militare, di certo Piero sarebbe stato il nuovo padrone non solo di Firenze, ma della Toscana intera. A quel punto il Fatuo altro non sarebbe riuscito a fare se non rendersi ridicolo e perdere tutto quello che i suoi parenti avevano riconquistato per lui e allora a che sarebbe valso lo sforzo di Virginio, se non a precipitare il suo nome e quello dei suoi congiunti nella più abissale vergogna?
"Non avremmo mai potuto vincere..." soffiò Virginio, sedendosi sullo sgabello con un tonfo: "E se credete il contrario – provocò i due Baglioni, mentre i suoi occhi azzurri si accendevano della vecchia fiamma che li aveva animati di continuo negli anni più ruggenti della sua prima sconsiderata gioventù – nulla vi impedisce di radunare gli uomini e ricominciare a scalare le mura della città senza di me!"
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Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)
Ficción histórica(Troverete le prime due parti sul mio profilo!) Caterina Sforza nacque nel 1463, figlia illegittima del Duca di Milano e di una delle sue amanti, Lucrezia Landriani. Dopo un'infanzia abbastanza serena trascorsa quasi per intero tra le mura del...