Capitolo 374: Fare del proprio meglio

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Come d'accordo, il giorno appresso Caterina e Giovanni partirono da Ravaldino di buon'ora, diretti verso la Casina.

Non volendo cacciare, non avevano con loro armi, eccezion fatta per il pugnale della Contessa e per una spada, che aveva voluto portare per sicurezza. Anche se la riserva di caccia era di sua proprietà, aveva comunque paura di qualche possibile imboscata, soprattutto ora che il Pandolfaccio era tornato in Romagna.

Attraversarono i boschi in silenzio, senza rivolgersi mai la parola. Fin dalla partenza, la Tigre era stata distratta, immersa nei suoi pensieri, e il Medici aveva preferito evitare di irritarla con domande inutili.

Ormai gli era chiaro che quando la moglie voleva dirgli qualcosa, glielo diceva e basta. Chiedere, quando non era lei stessa a dire spontaneamente, era uno sforzo inutile.

Viaggiavano su un unico cavallo, un turco molto agile che la Sforza aveva da poco fatto arrivare nelle sue stalle. L'unica licenza che Giovanni si prendeva, di tanto in tanto, era appoggiare il mento sulla sua spalla, sfiorandole la guancia con le labbra.

Quando giunsero infine alla Casina, la Contessa sistemò la bestia e lasciò andare avanti il marito che ne approfittò per accendere il camino e aprire un momento l'unica finestra, in modo da cambiare un po' l'aria.

Era una bella giornata settembrina, con l'aria fresca e il cielo terso. Anche se il terreno era ancora un po' fangoso per la recente pioggia abbondante e le foglie sulle piante fossero già imbrunite, si sarebbe potuto pensare che si fosse già all'inizio di una nuova estate e non ancora in autunno.

Quando la Tigre entrò nella Casina, Giovanni chiuse di nuovo la finestra e si voltò a guardarla.

I suoi occhi verdi sfuggivano quelli del marito e il modo nervoso in cui riattizzò le fiamme nel caminetto fece intendere al fiorentino che la sua mente era ancora lontana.

Malgrado ciò, senza molto preavviso, la donna andò verso di lui e, con impazienza, lo spinse fino a farlo appoggiare al tavolone su cui stavano in bella mostra un paio di calici e un piatto, lasciati lì l'ultima volta che avevano passato la giornata alla Casina.

Impattando contro il legno, Giovanni ricambiò a lungo i baci della moglie e non si oppose nemmeno quando lei gli tolse il mantello e poi cominciò a trafficare con i lacci delle sue brache, tuttavia, appena prima di lasciarsi trascinare via dalla sua repentina iniziativa, la fermò: "Aspetta, aspetta..."

Con gran riluttanza, la Leonessa smise di cercare di baciarlo e le sue mani, ormai intrecciate a quelle del marito, lasciarono i lacci ancora per metà annodati.

Incrociò lo sguardo del Medici per qualche istante. Le iridi chiarissime dell'uomo stavano cercando qualche risposta, ma Caterina, in quel momento, voleva solo prendere tempo e differire il discorso, che pur sentiva il bisogno di fare, il più possibile.

"Dopo..." gli sussurrò, sporgendosi di nuovo verso di lui che, per non perdere l'equilibrio, si puntellò al tavolo con il palmo della mano.

"Prima." controbatté il fiorentino, con una certa fermezza, sottraendosi alla moglie in modo molto evidente.

Cercando di ricomporsi, la Tigre annuì stancamente e poi lasciò Giovanni vicino al tavolo, per andarsi a sedere sul letto: "Hai ragione. Meglio prima."

L'uomo la incoraggiò con un gesto e si andò a mettere accanto a lei, zoppicando un po', dopo essersi sistemato un po' i riccioli castani che si erano spettinati all'assalto della moglie.

"Bianca ha capito che io e te aspettiamo un figlio. Mi ha consigliato di dirlo almeno a Ottaviano e Cesare, mentre lei lo avrebbe detto agli altri miei figli. E così ho cercato i due più grandi e ho fatto come mi ha suggerito lei." spiegò la Sforza, prendendo una mano del marito tra le sue e cominciando a osservare le sue lunghe dita: "Ottaviano l'ha presa abbastanza bene, meglio di quel che credevo. Mentre Cesare..."

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora