Capitolo 322: Ama chi t'ama, e accostati a chi ti s'appressa

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 Pandolfo Malatesta stava dormendo secco, russando piano, la bocca un po' aperta e un braccio che penzolava abbandonato verso terra.

Era su uno dei divanetti del suo salotto privato e l'aria era ancora satura degli odori della festa che aveva tenuto la sera prima. Gli invitati erano molto pochi, ed erano stati selezionati tra i suoi amici personali. Per una sera, non si era parlato di politica, ma si era bevuto e ci si era divertiti con le donne e coi liquori che il padrone di casa aveva generosamente offerto.

"Pandolfo... Pandolfo... Pandolfo!" la voce di Violante arrivò alle orecchie del Pandolfaccio come la risacca del mare dopo la tempesta.

Premendosi le dita sulle tempie, il Malatesta strizzò gli occhi e, a fatica, si svegliò. Quando i suoi occhi si furono abituati alla penombra del salottino ed ebbero focalizzato il volto della moglie, l'uomo si mise a sedere.

"Che accidenti c'è? Perché sei venuta a chiamarmi..?" chiese il Pandolfaccio, afferrando Violante per il braccio e strattonandola con violenza: "Non lo vedi che ieri c'è stata una festa? Ho bisogno di riposarmi! Stupida donna!"

A quel punto, la Bentivoglio si tirò indietro e disse, fissandolo glaciale: "Tua madre sta male."

"Come..?" la voce strozzata del signore di Rimini diede un piacere tutto particolare a sua moglie, che, per quanto avesse il terrore di restare da sola in balia di Pandolfo nel caso in cui la suocera fosse morta, non desiderava altro che farlo soffrire.

Pandolfo si levò come una furia dal divano e corse verso la stanza di sua madre. La trovò riversa su se stessa, intenta a vomitare in un vaso da notte sorretto da due servi.

"Chiamate il medico di corte!" abbaiò a uno dei domestici.

Elisabetta ebbe un altro conato, senza riuscire a buttar fuori più nulla e poi si riabbandonò sul letto senza forze, il viso trasfigurato dalla fatica e imperlato di sudore gelido.

Pandolfo non riusciva a capire che cosa fosse successo. Sua madre era tornata da Venezia in perfetta salute. Era stata lei a convincerlo a ritirare le truppe da Civitella, e aveva preso un sacco di altre decisioni, senza mai dare un minimo segno di cedimento.

Come poteva ora, da un giorno con l'altro, essersi fatta cerea e con gli occhi spiritati, il petto che si sollevava rapido e la mano che cercava nel vuoto qualcosa.

Il figlio, capendo che la madre si era accorta della sua presenza, si slanciò verso di lei e le afferrò la mano che vagava a mezz'aria: "Sono qui..." sussurrò: "Ma che cosa vi succede?Cosa vi sentite?"

La pelle della donna era rovente e quando Elisabetta provò a parlare, un nuovo accesso di vomito la scosse fino alla punta dei capelli.

Quando il medico finalmente arrivò, ancora in abiti da notte e con la barba bianca tutta arruffata, cominciò subito la sua visita, sotto l'occhio attento e terrorizzato del Pandolfaccio.

"Allora? Parlate, per Dio! Parlate o vi taglio la gola!"minacciò il Malatesta, sempre tenendo stretta la mano debole della madre.

"Non posso saperlo, ancora... Non sembra una febbre malarica, ma non posso escluderla con certezza... Potrebbe essere qualche morbo contagioso... Dobbiamo tenerla sotto osservazione e vedere..." farfugliò il dottore.

Se solo non fosse stato ben determinato a non lasciare la mano della madre nemmeno per un secondo, Pandolfo avrebbe volentieri spezzato il collo di quel pusillanime.

"Chiamate altri medici! Li voglio tutti qui! Non importa a che prezzo!" sbraitò e poi, quando si accorse che anche sua moglie si era affacciata sulla porta, l'additò e le ringhiò contro: "E tu! Vedi di fare qualcosa anche tu!"

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora