Capitolo 428: È a mezzo la notte...

275 32 16
                                    

Caterina ci mise almeno mezz'ora, prima di sentirsi di nuovo padrona di sè. I suoi figli, compresa Bianca che teneva in braccio Ludovico, si erano dileguati non appena Giovanni aveva lasciato Ravaldino.

Del piccolo drappello che gli aveva porto quel mesto saluto, nel cortiletto era rimasta solo lei.

Si appoggiò un momento al bordo del pozzo e tirò un profondo respiro. Si passò quasi distrattamente una mano sulla fronte, trovandolo un po' calda. Da quando suo marito era tornato dal campo pisano, aveva badato molto poco alla propria salute, ma nonostante la sua noncuranza, pareva essere lo stesso in via di remissione.

Non aveva avuto più picchi febbrili preoccupanti e, malgrado tutto, tanto l'astenia quanto la sensazione di precarietà stavano affievolendosi.

Mentre sentiva la pietra calda scaldarle il palmo della mano con cui vi si era appoggiata, la Sforza si rese conto all'improvviso che Galeazzo non era andato come gli altri a salutare il Popolano.

Un po' preoccupata dalla sua assenza, la Contessa si ricordò anche di come nemmeno Giovanni l'avesse nominato, quando si era congedato da tutti gli altri. Quello poteva voler dire solo che il Medici sapeva che non si sarebbe presentato. Perché, malgrado le sue condizioni, il fiorentino era lucidissimo e pareva non sfuggirgli ancora nulla.

Con una certa titubanza, non sapendo se quello che stava facendo fosse giusto, la Leonessa cominciò a vagare per la rocca, cercando il suo figlio più promettente e ci mise quasi un'ora, prima di trovarlo.

Era chiuso nella stanza dei giochi, apparentemente attonito e immobile, seduto in modo rigido sulla sedia che di norma veniva occupata da una delle balie mentre i bambini più piccoli giocavano davanti al camino.

"Sei qui..." fece Caterina, non nascondendo troppo il suo sollievo.

Galeazzo sollevò lo sguardo verso di lei, ma poi lo distolse subito, prima di spiegare, atono: "Sì e messer Medici sapeva che non sarei venuto a..."

Non concluse la frase, lasciando che un sospiro spezzato lasciasse intendere il finale.

Sua madre lo fissò con attenzione. Quel ragazzino avrebbe fatto tredici anni a dicembre, ma in quel momento pareva molto più grande della sua età.

"Ci ho parlato ieri, mentre eravate a mangiare." continuò, incrociando le braccia sul petto e sollevando un po' le sopracciglia: "Ho preferito farlo quando nessuno mi vedeva."

L'orgoglio quasi ostinato che Galeazzo dimostrava strappò involontariamente un breve sorriso alla Contessa che, nel bene e nel male, riconosceva un tratto spiccato di sè stessa e anche di alcuni suoi familiari stretti.

"Se va bene per te e per Giovanni, va bene anche per me." assicurò, dato che l'espressione assunta dal figlio le stava suggerendo che il ragazzino si aspettasse un rimprovero.

"Credete che tornerà?" chiese il Riario, mentre la madre, dopo un ultimo sguardo al suo erede designato, tornava verso la porta per lasciarlo in pace.

"Io credo che adesso dobbiamo pensare alla guerra." ribatté, senza voltarsi più verso di lui: "Perché se Giovanni ha deciso di allontanarsi, l'ha fatto solo per permetterci di ragionare in modo più lucido, quindi glielo dobbiamo."

Galeazzo la scrutò, mentre usciva e, dopo qualche respiro molto fondo, si tirò su e raddrizzò le spalle.

Ritornò con la mente alle poche parole che lui e il Medici si erano scambiati il giorno prima e diede ragione alla madre. Il fiorentino aveva fatto quanto in suo potere per permettere a tutti loro di avere n unico solido obiettivo. Dovevano impegnarsi e dovevano farlo anche per lui.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora