Capitolo 304: Simone Ridolfi

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Simone Ridolfi arrivò a Forlì, come previsto, con una marea di bagagli e oltre una dozzina di uomini al seguito, per lo più servitori e un paio di scrivani.

Ad accoglierlo alle porte della città andò direttamente Giovanni Medici, che poi lo scortò fino al palazzo che la Contessa aveva predisposto per gli ambasciatori stranieri.

"Nell'alloggio in fondo – spiegò il Popolano, senza lasciare nemmeno un attimo al cugino, dopo i primi saluti, per aprir bocca – sta l'ambasciatore milanese. Al piano di sopra invece..."

"Ascoltami, Giovanni – fece Simone, bloccando subito l'elenco che il Medici si stava apprestando a fare – dobbiamo parlare. In un punto tranquillo."

L'altro ci pensò un momento, poi decise che l'appartamento destinato al cugino fosse di certo il più adatto per quell'occasione.

Una volta chiusi nella stanza che avrebbe accolto Simone Ridolfi da quel giorno in avanti per tutto il suo soggiorno in città, il nuovo arrivato cercò uno specchio, trovandone uno molto piccolo, poco lontano dall'inginocchiatoio.

Si sistemò i lunghi capelli castani, tendenti al rosso, e poi tornò a concentrarsi sul parente: "Tuo fratello e Semiramide hanno deciso di lasciare Firenze per un periodo. Vogliono andare nelle Fiandre, con il pretesto di curare certi affari."

Il Popolano cercò il letto e vi si sedette, fortemente colpito da quella rivelazione: "Per colpa di Savonarola?"

"Precisamente." confermò con cupezza Simone, di solito di umore molto più ridanciano, grattandosi la barba di un paio di giorni e facendo andare avanti e indietro una delle lunghe braccia, come un pendolo: "Senti, prima, forse, mi volevano mandare qui solo per rimetterti a ragione in merito alla Tigre, ma adesso la cosa s'è fatta più seria."

"Parla." lo incitò il Medici, sorvolando sul sopracciglio di Simone, che si era alzato in modo insinuante nel nominare la Contessa Sforza.

"Con loro lontani da Firenze, non resta nessuno di fiducia alla Signoria. Gli ordini continueranno ad arrivarti, però, e tu da bravo ambasciatore li dovrai onorare, ma Lorenzo ha pensato che avermi vicino ti avrebbe fatto comodo. Sono pur sempre della famiglia e conosco meglio di te e tuo fratello la reale condizione di Firenze, perché, a differenza vostra io, non me ne sono mai dovuto andare da casa." spiegò Ridolfi, le labbra aggraziate che si sollevavano in un sorriso un po' supponente: "Ho le consegne più recenti di Lorenzo e d'ora in poi dovremo far affidamento l'uno sull'altro, intesi?"

Giovanni conosceva bene gli usi un po' spacconi del cugino, per cui non vide il suo modo di atteggiarsi come qualcosa di cui diffidare. Era il solito Simone di sempre e quello che aveva detto non era da sottovalutare solo perché lo aveva detto con tanta sbruffonaggine.

"Intesi – convenne il Popolano, rialzandosi dal letto e fronteggiando Ridolfi, più alto di lui di una spanna più che abbondante e molto più muscoloso – ma devi lasciarmi fare il mio lavoro. La Tigre, come la chiami tu, è una donna particolare. Se ti rivolgerai a lei con la tua solita boria, potresti anche far scoppiare una guerra tra Firenze e Forlì!"

Simone rise di gusto e poi si rifece subito serio: "A proposito di guerra. Venezia ci ha minacciati ancora e Pisa comincia a fare la voce grossa. Per prima cosa ci sarà da affrontare questi punti con la tua Tigre. Ci serve saperla dalla nostra parte."

Giovanni strinse le labbra: "Di questo parleremo più tardi. Adesso sistemati, che sarai anche stanco dal viaggio."

"E il tuo appartamento dov'è? Spero vicino al mio... Non sopporterei di passare dalle stanze di un milanese per..." cominciò Ridolfi, andando alla porta per cercare i suoi servi e recuperare i bagagli.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora