Capitolo 372: Ipsa sua melior fama

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Quando finalmente vide le porte di Forlì, Simone Ridolfi si permise di tirare un sospiro di sollievo e maledisse ancora una volta la sua malasorte che aveva voluto per lui un bel diluvio non appena aveva lasciato Imola.

Ci aveva messo qualche giorno a decidersi, ma poi, mosso soprattutto dalle parole della moglie, aveva deciso di andare di persona dalla Contessa.

E così, anche se erano solo i primi di settembre, il cielo aveva ben pensato di caricarsi di nuvole e rovesciare su di lui tutto quello che aveva trattenuto negli ultimi giorni.

"Messer Ridolfi, Governatore di Imola." si annunciò, restando a cavallo e mettendo una mano sotto al mantello, come a tirar fuori il documento che ne attestava l'identità.

La guardia, che ben lo conosceva, lo lasciò passare senza chiedergli di visionare nulla e così Simone spronò il cavallo e attraversò la città a gran velocità, desideroso di sottrarsi all'acquazzone.

Quando arrivò alla rocca, i piantoni che stavano all'ingresso furono più indaginosi, gli fecero consegnare il cavallo, lo perquisirono, prendendo in custodia il suo pugnale da viaggio, e lo fecero attendere qualche minuto, prima di dargli il permesso di entrare, e, anche in quel caso, gli dissero di attendere il castellano o il Capitano Mongardini.

Ridolfi, restando riparato sotto al portone, si mise in paziente attesa. Anche se non faceva freddo, bagnato com'era stava congelando.

I suoi occhi vividi stavano passando in rassegna ogni cosa e, finalmente, intravide un profilo che gli era molto familiare.

"Giovannino!" esclamò, alzando un braccio e facendo qualche passo in avanti.

"Vi ho chiesto di attendere qui." lo riprese la guardia, ma, non appena il Medici riconobbe Simone, il soldato tornò al suo posto e non disse più nulla.

"Vieni dentro, che qui ti prenderai qualcosa..." fece subito Giovanni, andandogli incontro e facendogli strada su per la scale: "Che cosa ci fai qui?"

Ridolfi, nel salire al piano di sopra, notò come il Popolano zoppicasse vistosamente e fu sul punto di chiedergli come stesse, senonché un'altra domanda gli premeva di più: "Avete stretto sulla sicurezza, eh? Prima non erano così puntigliosi, i soldati all'ingresso..."

"Ho pensato che fosse una buona norma controllare di più chi entra e chi esce da qui." spiegò Giovanni, mentre portava il cugino verso una delle stanze in cui il camino era acceso: "Per non avere altri incidenti." specificò.

"E da quando decidi tu in merito alla sicurezza della rocca?" chiese Ridolfi, accigliandosi.

C'era qualcosa, nel piglio del Medici, che non riusciva a cogliere. Sembrava molto più a suo agio dell'ultima volta che si erano visti, nel girare per la rocca e anche il modo disinvolto con cui si era preso il merito della maggior attenzione alla sicurezza aveva colpito molto Simone.

"Perché sei qui?" chiese il Popolano, senza rispondere.

Ridolfi annuì da solo e poi, prima che Giovanni lo facesse accomodare in una delle camere, lo guardò e, mettendogli una mano sulla spalla, gli disse: "Devo parlare subito con tua moglie. Dove la posso trovare?"

L'ambasciatore di Firenze scrutò per un istante il viso dell'altro e poi sollevò le spalle: "È uscita da un paio d'ore. Dovrebbe tornare a momenti."

"È in città?" chiese Ridolfi, già pronto ad andare a cercarla.

"Credo sia nei boschi." rispose Giovanni, senza inflessione.

"Con questa pioggia?" domandò sorpreso il Governatore di Imola che, pur conoscendo l'indole selvatica della Tigre, non la credeva tanto incosciente da starsene volontariamente fuori con quel tempo da lupi.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora