Capitolo 407: Miser Catulle, desinas ineptire...

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Il carceriere diede uno strattone ad Achille che, impostosi ormai da tempo di non attaccar briga con i nemici che lo tenevano prigioniero, subì in silenzio.

I veneziani si stavano dimostrando guardie molto più attente e inflessibili di quello che avrebbe creduto. Quando erano stati catturati, lui e gli altri, dopo la battaglia, Ludovico da Marciano gli aveva detto, con tono troppo ottimistico, che essendo loro ostaggi illustri, sarebbero stati trattati come ospiti e non come carcerati.

Peccato che si stesse sbagliando di grosso.

"E la tua signora non muove un dito per liberarti - insistette la guardia, richiudendo la porta della cella e parlando attraverso la piccola feritoia, unico spiraglio di comunicazione con l'esterno - ci farai la muffa, qui dentro."

Tiberti avvertì un silenzio tombale, tra i suoi compagni di sventure. Erano una decina, stipati in un'unica stanzetta angusta e umida e a volte facevano anche fatica a dormire, per quanto erano accalcati. Spesso si trovavano costretti a fare i turni per decidere chi si poteva coricare e chi doveva starsene in piedi.

"Taci!" ribatté Achille, anche a costo di prendersi qualche botta: "Non sai di che parli! La Tigre di Forlì sta preparando l'esercito e vi ammazzerà tutti! Uno a uno!"

La risata che accolse la sua invettiva fece scendere un blocco di ghiaccio nel petto del Capitano Tiberti. In fondo, anche lui ormai si era convinto che la Sforza non stesse minimamente cercando di trattare la sua liberazione.

C'erano altri, tra quelli presi con lui, come Ceccotto Orlandi o Chiriaco della Vecchia che erano riusciti anche a sapere che Firenze stava trattando per la loro liberazione. Gente come Chiriaco dal Borgo, poi, era riuscita a liberarsi già al momento della cattura.

Solo per Achille nessuno pareva intenzionato a fare nulla. Forse, si diceva, quando scendeva la sera e il suo cuore si riempiva di oscurità, la Tigre aveva infine deciso di fargli pagare definitivamente il suo debito immolandolo a quel modo. Almeno, nella spietata logica della politica, anche lei avrebbe avuto un morto importante da poter far pesare sul tavolo della pace.

"Avanti Tiberti..." lo consolò Giannotto Francese, dandogli un colpetto tra le scapole: "Siamo tutti nelle stesse condizioni, ci vuole pazienza e restare vivi. Che il resto verrà da sé."

Gli altri prigionieri, stanchi e affamati come sempre, non commentarono, dandogli tacitamente ragione.

Tuttavia, appena l'animo di Achille cominciava ad adagiarsi su quell'idea di speranza, un paio di soldati arrivarono alla porta della cella e uno di loro gridò: "Francese! Francese!"

Questi, facendosi largo nell'oscurità della cella, arrivò all'uscio e chiese: "Sì?"

"Sei libero." piegò una delle guardie, aprendo e facendo uscire solo Giannotto, respingendo quelli che, malgrado l'inutilità del gesto, premevano nella speranza di riuscire a sgattaiolare fuori: "Hanno pagato il tuo riscatto. C'è un emissario di Firenze che ti aspetta."

Veder andar via anche quel commilitone fece scendere in quelli rimasti un'angoscia difficile da domare. Se da un lato quello stillicidio faceva sperare a tanti di essere il prossimo a lasciare quella prigione, per altri, come Achille, era solo la consapevolezza di vedere gli altri tornare in salvo e restare pian piano da soli ad affrontare un triste destino.


Bianca passò una mano sulla stoffa che il mercante le aveva appena srotolato davanti. Ne cercava una abbastanza bella, ma anche economica.

Avrebbe potuto benissimo chiedere alla madre di comprarle dei tessuti tramite il sarto di corte, ma oltre a non volerla disturbare con quel genere di cose, non voleva nemmeno gravare sulle sue tasche.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora