Capitolo 422: Deos fortioribus adesse

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"...è l'unica cosa che si possa fare. Tutto il resto sarebbe solo uno sforzo inutile."

"Ma nemmeno Firenze è molto vicina."

"Firenze è comunque più vicina di altre città."

"Ma siete certo che potrebbe sopravvivere al viaggio?"

"Non so nemmeno se sopravvivrà a questa notte, cosa volete che ne sappia..!"

"Se non dovesse riprendersi..."

"Avete già mandato qualcuno ad avvertire la Tigre di quello che sta succedendo?"

"No, no... Non ci ho pensato... Nella concitazione del momento..."

"Forse sarebbe il caso..."

"O forse sarebbe meglio aspettare di vedere se muore o no..."

"Intanto fate preparare un carro per Firenze... In un modo o nell'altro portarlo lì credo sia la soluzione più logica, al momento..."

Giovanni sentiva delle voci maschili che riconosceva solo in parte. Sentiva la testa pulsare, e per qualche istante non ebbe coscienza del dolore che pervadeva ancora il suo corpo.

Poco per volta, mentre quelli che gli stavano attorno ancora discutevano come se lui non fosse presente, tornò padrone di sé e sentì il fiato entrargli e uscirgli dal petto quasi con fatica, il cuore che pulsava arrancando e gli occhi che riuscivano a mala pena ad aprirsi.

"Non sono ancora morto..." disse, con un filo di voce, benché il suo intento fosse quello di gridare per metterli tutti a tacere.

Sentirlo parlare mise a tacere quasi tutti i presenti e in pochi istanti il Medici cominciò a riconoscere qualche volto alla luce stentorea delle torce.

Il cerusico del campo lo aiutò a sollevare un po' il capo, salvo poi farlo ritornare giù, completamente abbandonato sulla branda: "Dovete stare tranquillo, messere..." gli disse, con tono apparentemente molto calmo: "Vi abbiamo cosparso le piaghe con unguento e..."

Giovanni cercò con lo sguardo Ottaviano e lo trovò accanto a Corradini, poco lontano da lui. Era visibilmente spaventato e parlottava con il Capitano molto concitatamente, probabilmente in cerca di conferme riguardo a cosa sarebbe accaduto, se il fiorentino fosse morto quella notte.

"Come credete che stia?" chiese l'uomo, rivolgendosi al cerusico.

Questi, abituato a soccorrere i moribondi scampati alle battaglie, fu franco: "Faccio il caso pericoloso di morte, mio signore."

Il Popolano sentiva un dolore tanto fondo e sordo dalla vita in giù e alle mani, che quasi il corpo gli pareva staccato dalla mente. Era come se a provare quel tormento fosse un'entità staccata da lui.

"Allora voglio tornare a casa." disse solo, chiudendo gli occhi.

"Stiamo giusto organizzando il vostro trasporto fino a Firenze, così..." cominciò a dire il Capitano Corradini, muovendo un passo avanti.

Giovanni, che sentiva la coperta unta di creme e fradicia del suo sudore, schiuse di nuovo le palpebre e, cercando di apparire fermo nel suo proposito, ribatté: "Ho detto che voglio tornare a casa."

Il soldato finse di non capire e così ripeté: "Certo... Manderemo una staffetta a vostro fratello per..."

"Credo che lui voglia tornare a Forlì." si intromise Ottaviano, con un tremito nella voce che tradiva la sua tensione.

"Dalla mia Caterina." confermò il Medici, tornando a chiudere gli occhi, come se sottraendosi alla luce delle torce facesse meno fatica a sopportare il dolore fisico: "E da mio figlio."

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora