Capitolo 417: Chi dice che gli è cosa dura l'aspettare, dice el vero.

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Dopo essersi preso il suo tempo per rassicurare al meglio Ottaviano e riprendersi un minimo dal viaggio, Giovanni, prima di fare altro, aveva immediatamente voluto vedere Paolo Vitelli.

Erano nel padiglione del comandante e questi aveva appena spiegato al Medici quello che era successo prima del suo arrivo e gli equilibri che si stavano creando al campo. Aveva anche insistito con tono molto infastidito sulla necessità di gestire Achille Tiberti e 'il Conte Riario', perché il primo si comportava come se avesse ricevuto direttamente dalla Contessa l'investitura di condottieri, mentre il secondo rallentava ogni operazione lanciando minacce ai suoi, quando questi davano idea di ascoltare più Tiberti che non lui.

"Questo fatto è presto risolto." disse il Popolano, agitando con fare quasi infastidito una mano guantata, mentre con l'altra si massaggiava un po' nervosamente le gambe, che aveva preso a fargli molto male: "Ottaviano Riario è a capo e io sono il suo primo consigliere. Tiberti è un Capitano come tanti e quindi vedrò di rimetterlo in riga."

Gli occhietti a mezz'asta del Vitelli lo squadrarono a lungo. Trovava molto strano quel fiorentino.

Prima di tutto, non aveva capito appieno il senso del suo repentino arrivo al campo. Era mandato da Firenze? Era mandato dalla Tigre?

E poi, non aveva il fisico da soldato, ma sembrava trovarsi a suo agio, lì in mezzo agli uomini d'arme. Da quel poco che Paolo gli aveva sentito dire, era anche abbastanza sveglio e ferrato in tema di strategia e tattica. Aveva una sicurezza di sé nel discorrere di tali argomenti, che non poteva essere dovuta a un'imbeccata frettolosa di qualcuno appena prima della sua partenza.

"Molto bene." disse piano Vitelli, incrociando le braccia, lunghe e muscolose, sul petto: "E ora passiamo alle cose serie."

Il Medici ascoltò con attenzione il piano del comandante, che aveva individuato come maggior punto debole del nemico la strada che collegava Pisa a Cascina. Secondo lui sarebbe stato facile e, per il nemico, molto debilitante se fossero riusciti a intercettare almeno un carico di rifornimenti o di armi e colpire i veneziani di sorpresa.

Giovanni soppesò ogni parola del Vitelli, facendo di quando in quando qualche osservazione ad hoc. Anche se aveva di suo un certo senso per quelle cose – che gli era valso il favore della Francia, a suo tempo, e con esso la piccola rendita a vita concessagli da Carlo VIII – il Popolano aveva imparato moltissimo osservando e ascoltando la moglie durante i consigli di guerra e seppe sfruttare quelle nuove conoscenze al momento giusto.

Quando un molto favorevolmente impressionato Paolo Vitelli lo lasciò libero di ritirarsi, il Medici volle vedere separatamente anche Achille Tiberti.

L'uomo, appena vide il fiorentino, seduto su uno sgabello da campo, il viso tirato e gli occhi cerchiati da pesanti occhiaie, commise l'errore di sottovalutarlo.

L'aveva sempre preso per un uomo calmo e moderato, perciò, quando il Popolano si mise a gridare, Achille ebbe un momento di forte smarrimento.

Giovanni avrebbe voluto essere più conciliante, ma il dolore sordo e molto forte che provava in quasi tutto il corpo – che ormai era diventato difficile discriminare esattamente la sua origine e la sua propagazione – lo aveva reso nervoso e poco incline alla pazienza.

Nelle sue parole, precise e decise, fece capire a Tiberti di starsene al suo posto, di servire la Sforza solo come gli veniva richiesto e di non prendere iniziative personali.

"O mia moglie vi sgozzerà come un vitello, con le sue stesse mani." concluse il Medici, ormai senza forze, con un sospiro pesante e un cenno del capo, che stava a dire che Achille doveva considerarsi congedato.

Ci mise qualche minuto per riprendersi, ma alla fine il Popolano riuscì a tirarsi in piedi e andò dai soldati della moglie. Voleva mettere in chiaro anche con loro quali fossero le esatte gerarchie della campagna.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora