Capitolo 380: Fors dominatur, neque vita ulli propria in vita est

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Giovanni stava muovendo lentamente le dita della mano sinistra, piegandole e poi facendole tornare dritte.

Il piccolo gonfiore sul mignolo, però, gli rendeva difficile completare del tutto l'esercizio e, quando vi riusciva, avvertiva sempre una piccola fitta di dolore.

Era solo, nella stanza della guerra, così come ormai veniva chiamata quella saletta in cui sua moglie aveva lasciato ormai in pianta stabile le sue mappe e i suoi appunti che riguardavano il panorama politico e militare dello Stato e dell'Italia in generale.

A breve sarebbero arrivati anche gli altri, per dar vita a una riunione che aveva come fulcro sia la posizione da tenere con Faenza, che nell'ultima settimana aveva ricominciato ad avanzare richieste abbastanza pressanti, sia la condotta che il Medici avrebbe cercato di proporre a Firenze per Ottaviano.

Novembre era nel suo pieno e quella mattina si erano visti i primi fiocchi di neve. Il Popolano aveva sentito dire da un astrologo che seguiva uno degli ambasciatori che vivevano in città, che quello si sarebbe presto trasformato in un inverno rigidissimo, seguito poi da un'estate così torrida da portare una carestia senza precedenti.

Nel suo intimo, Giovanni aveva mandato l'astrologo a quel paese, pensando che fosse solo un uccellaccio del malaugurio.

Quando sentì la maniglia della porta abbassarsi, il Medici era ancora appoggiato al tavolo delle mappe, con la mano in aria e le dita spiegate.

A entrare era stata Caterina. I suoi occhi verdi si posarono per un istante appena sul mignolo ormai un po' storto del marito, ma dalle sue labbra non uscì nemmeno mezza parola a riguardo.

"Sei in anticipo..." gli disse, avvicinandosi a lui e dandogli un rapido bacio.

L'uomo annuì, e spiegò: "Non avevo nulla da fare, così sono arrivato qui prima per ricontrollare un po' di cose..."

"Di quanto credi che potrà essere la condotta per Ottaviano?" chiese la Contessa, mentre, in un gesto quasi automatico, gli sistemava un po' il colletto del giustacuore.

Giovanni, che aveva ricevuto appena il giorno prima un messaggio molto preciso da parte della cognata, assieme a metà circa del suo appannaggio di derivazione francese – 'so che non è molto' aveva scritto Semiramide: 'ma Lorenzo non mi permette di mandarti altri, per il momento' – fece un breve sospiro e disse: "Sto pensando di chiedere non meno di quindicimila fiorini, per una condotta che copra l'intera guerra."

La Sforza si rabbuiò un momento, poi domandò: "Credi che gli accorderanno un simile prezzo? In fondo, mio figlio non ha mai avuto esperienze militari. Per loro non dà garanzie..."

"Sei tu, la loro garanzia." tagliò corto il Medici.

La Tigre stava per ribattere, quando un piccolo frullio del bambino che portava in grembo la distrasse. Si portò entrambe le mani al ventre e sulle labbra le si dipinse un breve sorriso.

Il Popolano capì e così, staccandosi dal tavolo a cui era ancora appoggiato, protese anche lui le dita verso la pancia della moglie. Quel giorno la sua donna portava un abito abbastanza succinto da lasciar intravedere molto bene la forma del suo ventre, ma a lui stava bene così. Dopotutto, avevano deciso di non sbandierare la gravidanza, ma nemmeno di nasconderla.

"Sentilo, come si dimena..." sorrise Giovanni, accarezzando con delicatezza la piccola vita che aveva contribuito a generare.

"Ha già lo spirito da guerriero." concordò Caterina, appoggiando la mano su quella del marito: "E se va avanti così, diventerà il guerriero più famoso di tutti i tempi e anche il più coraggioso. Non ci sarà angolo del mondo in cui non si conoscerà il suo nome."

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora