Capitolo 299: E poiché hanno seminato vento, raccoglieranno tempesta.

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Quando Caterina si svegliò, trovò la stanza ancora immersa nel buio, ma accanto a lei, nel letto, non c'era più nessuno. Passò una mano laddove prima era stato Giovanni e poi inspirò con forza.

Tirandosi su a fatica, sentendo la schiena dolorante e la testa pesante, ci mise un po' a ricordarsi di tutto quello che era successo e del perché si trovasse nel letto dell'ambasciatore di Firenze.

Chiedendosi quanto avesse dormito, si alzò, si sistemò l'abito, che nel sonno si era sgualcito parecchio, e andò alla finestra. Quando scostò la tenda, un sole che aveva il sapore del primo mattino l'accecò per qualche istante.

Dunque il cielo era ancora limpido. Nemmeno la traccia di una nuvola. Di quel passo, l'estate avrebbe bruciato i campi e inasprito l'epidemia fino a fare allo stato della Sforza ciò che nemmeno i francesi erano riusciti a fare.

Con un nuovo peso sullo stomaco, la Contessa si massaggiò le tempie, strizzando gli occhi e cercando di rimettere insieme le idee. Aveva molte cose da fare e se solo provava a pensarci, tutto le andava insieme in un unico turbine confuso.

Appena prima di uscire, notò un appunto scritto sul primo foglio di una piccola risma sulla scrivania del Medici.

'Se mi si cerca, mi si trova nella rocca. Voglio dare un aiuto, se posso.' aveva scritto il Popolano, con una grafia che Caterina aveva imparato a conoscere quando aveva scambiato con Giovanni e con il fratello alcune lettere di stampo commerciale.

In fondo, quasi a piè pagina, c'era scritta anche un'altra frase, ma era stata cancellata con una serie di righe. La Tigre, curiosa di sapere che cosa il fiorentino avesse voluto dire, per poi pentirsene, prese il foglio tra le dita e lo guardò bene in controluce.

Dopo un po' di tentativi, la donna capì che sotto alle rigacce Giovanni aveva scritto: 'Chi è il Ludovico che avete continuato a nominare?'

Rimettendo al suo posto il foglio, Caterina emise un lento sospiro. Non ricordava nulla, di quello che aveva sognato.

A giudicare dalla luce del sole, doveva aver dormito per un giorno intero, ma di tutte quelle ore di sonno non avrebbe saputo dire nulla.

Evidentemente, senza accorgersene, aveva rivisitato una volta di più le segrete della rocca, aveva rivissuto ancora e ancora la morte del giovane Marcobelli e magari anche quella di altri.

Sperando di non aver dato al fiorentino l'impressione di essere pazza, parlando nel sonno, Caterina si controllò un'ultima volta gli abiti, si ravviò i capelli e infine uscì dalla stanza.

Cercò Giovanni per mezza rocca, ma, prima di trovarlo, si imbatté in Achille Tiberti: "Come state, mia signora?" chiese egli, guardandola accigliato.

La donna rispose che tutto sommato stava bene e il soldato le riferì che i resti di sua madre erano partiti per Imola quella notte, senza destare il sospetto della popolazione.

"Lo sappiamo solo io e i vostri altri più fedeli servitori." specificò Tiberti, con un mezzo inchino.

La Contessa lo ringraziò e chiese che ne fosse stato di suo figlio.

"Il suo corpo è ancora nel suo letto. Non l'abbiamo spostato, per ora." ammise Achille: "Ma sapete che tenendolo in città probabilmente sarà necessario..."

"Lo so." fece Caterina, senza lasciarlo finire: "Piuttosto, avete visto da qualche parte l'ambasciatore di Firenze?"

Tiberti sollevò le sopracciglia, sorpreso da quella richiesta. Aveva incontrato non da molto l'inviato fiorentino ed stato lui stesso a riferigli che la Contessa stava riposando e che non voleva essere disturbata.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora