Capitolo 254: ...per me si va tra la perduta gente.

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Giacomo guardò con orrore il punto in cui il ferro aveva trapassato la sua carne e lo stupore fu tale che per qualche istante non sentì nemmeno il dolore, trovando solo la forza di dire: "Sono morto..."

Nel sentire quelle parole strozzate, da sotto al ponte uscirono subitamente un sacco di persone che il Barone non riconobbe, tanto la sua vista era annebbiata dall'improvvisa nausea che si accompagnava alla crescente sensazione di freddo e smarrimento.

Don Domenico da Bagnacavallo, guardandosi oltre la spalla, in direzione del corteo che stava a una certa distanza da loro, si accorse che il Feo era in procinto perdere l'equilibrio e fu certo che sarebbe caduto di sella da un momento all'altro.

Così, prendendo il comando della situazione, il prete afferrò le redini e trascinò cavallo e cavaliere verso la vicina chiesa di San Bernardino.

Nel giro di meno di un minuto, dal portale uscì Pavagliotta, che agguantò l'esangue Barone per il mantello e lo buttò in terra con un tonfo sordo.

Giacomo, pervaso da un insopportabile sapore metallico in bocca, sentì l'aria uscirgli dai polmoni tutta a un tempo, mentre impattava col suolo e il dolore pungente della prima ferita venne presto moltiplicato da altre decine e decine di colpi, troppi per essere contati e percepiti distintamente.

In quel momento, mentre una dolorosa ferita inferta con qualcosa di metallico, forse una spada o una falce, lo colpiva in piena faccia, riducendo il suo viso a una maschera di sangue, Giacomo capì che sarebbe morto e che nemmeno sua moglie sarebbe riuscita a salvarlo.

Il gruppo di cacciatori, ormai alla porta della città, avanzava senza essersi accorto di nulla, quando Caterina sentì dei rumori che la insospettirono.

Senza darsi pena di chiedere alla figlia di interrompere il suo basso canto, la Contessa si voltò, cercando con lo sguardo la fine della fila.

La donna fece in tempo a vedere Giacomo che veniva trascinato giù di sella a peso morto e, tra le note che uscivano dalla gola di Bianca, riuscì a sentire il suo flebile lamento, distinguendo chiaramente solo qualche parola: "Oh, Signore..! Oh, Madonna! Sono assassinato!"

E poi vide delle ombre farglisi attorno e cominciare a dimenarsi e nella luce incerta della sera riconobbe in modo netto il profilo affilato e letale di roncole e pugnali.

Non ebbe bisogno di conferme di nessun tipo per capire quello che stesse succedendo.

Per un istante infinito, Caterina si sentì impotente e persa.

Non riusciva a muoversi e nelle sue orecchie il canto della figlia ormai risuonava come un rumore assurdo, irreale, grottesco.

Mentre le sagome che avevano circondato Giacomo, così vicino eppure così irrimediabilmente lontano da lei, continuavano a muoversi convulsamente, colpendolo in ogni modo possibile, Caterina riuscì a ritrovare un barlume di lucidità.

Il suo primo pensiero fu semplice e concreto: il suo Giacomo era morto.

Non poteva essere altrimenti.

Così come aveva saputo fin dal primo istante che suo padre era morto, quando l'aveva visto cadere sotto i colpi dei suoi assassini davanti al portale della chiesa di Santo Stefano, così nel vedere Giacomo cadere in terra, attorniato da un manipolo di uomini armati, era sicura che per suo marito non ci fosse più alcuna speranza. Se anche avesse potuto raggiungerlo in un solo passo, sarebbe comunque arrivata tardi.

Dopodiché tentò di elaborare in una frazione di secondo il fatto che a ucciderlo erano stati molti uomini, apparentemente tutti d'accordo tra loro e organizzati. Doveva essere un colpo di Stato.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora