Capitolo 253: ...per me si va ne l'etterno dolore...

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  I prati di Cassirano erano battuti da una lieve brezza fresca che spazzava anche il cielo, limpido come non lo era da giorni e giorni.

La distesa verde che si stagliava davanti ai cacciatori era interrotta solo di quando in quando da qualche pianta e i primi stormi di uccelli si potevano già vedere con chiarezza mentre si aggiravano in cerca di insetti nell'aria frizzante del primo mattino.

"Secondo me – commentò Francesco Tomasoli, che pure non era un cacciatore esperto – siamo in troppi per riuscire a prendere anche solo qualche misera beccaccia. Con il fracasso che faremo, scapperanno tutte quante..."

Effettivamente il gruppo era ben nutrito e i soldati di guardia stavano facendo tutti un gran baccano con le loro risate e le loro chiacchiere. L'unico che sembrava poco incline a quel clima di festa era Gian Antonio Ghetti, che si guardava attorno torvo, come se fosse infastidito dalla bellezza bucolica del posto.

Bianca, come previsto dal Barone Feo, aveva passato metà del viaggio sul carretto e là sembrava intenzionata a restare.

Si intratteneva scherzando con un paio degli uomini di scorta e col carrettiere. Tutti e tre pendevano dalle sue labbra e la ragazzina sorrideva compiaciuta dal successo che stava ottenendo.

Da quando sua madre le aveva esplicitamente fatto capire che la sua condotta disinvolta con gli uomini era da rivedere per via del suo matrimonio di facciata con Astorre Manfredi, Bianca si era in effetti trattenuta parecchio, dunque poter finalmente discorrere in libertà con chi preferiva era un vero sollievo.

In mezzo a quel prato, pensava la ragazzina, almeno non c'erano né occhi né orecchie indiscrete da cui proteggersi.

Caterina, mentre prendeva dal carro un paio di archi e delle frecce, lanciò un'occhiata penetrante alla figlia, ma alla fine anche lei fece un ragionamento analogo a quello fatto in silenzio da Bianca e decise di non riprenderla.

In fondo, se non si poteva essere se stessi nemmeno in mezzo alla natura, tanto valeva impiccarsi con un metro di corda.

Cesare prese dalle mani della madre una delle armi e si dichiarò deciso a provare a prendere qualcosa, contravvenendo alla sua normale allergia per quel genere di attività.

Caterina allora porse l'altro arco a Ottaviano che, smontato da cavallo, l'accetto con una certa riluttanza, ma senza fare troppe storie.

Le mani del ragazzo tremavano impercettibilmente, ma la madre non se ne rese conto.

Il nervosismo che lo prendeva fin nelle viscere gli rendeva difficile concentrarsi anche su una cosa semplice come infilarsi la faretra a tracolla, ma il Conte non era nel mirino materno in quel momento, dunque poté risultare impacciato nei movimenti quanto volle senza rischiare di suscitare l'interesse della Contessa.

Infatti le attenzioni di Caterina si erano già spostate su Giacomo, che, lasciata la sua bestia legata al carretto, aveva cominciato a camminare per la radura, le mani allacciate dietro la schiena e, apparentemente, nessuna voglia di mettersi a cacciare.

La mattina si stemperò in fretta nel mezzogiorno e la Contessa si dimostrò come sempre la cacciatrice migliore del gruppo.

Sistemate le prede nel carretto, la donna chiese ai soldati di scorta di aiutarla a spacchettare i viveri per il pranzo e così in pochi minuti tutti quanti si sedettero in terra per mangiare.

Visto il sole abbagliante di quelle ore, venne spontaneo a tutti cercare un po' di riparo sotto le fronde dei radi alberi di Cassirano.

Ottaviano si mise da solo in un punto distante dagli altri e prese da mangiare pochissime cose, giusto un pezzetto di formaggio e un piccolo pane nero, sicuro che la tensione gli avrebbe fatto risultare indigesto qualunque pasto, anche il più leggero.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora