Capitolo 354: Eripere telum, non dare irato decet.

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 Giovanni attendeva di vedere rientrare Caterina. Voleva aspettarla per andare a mangiare qualcosa insieme, e così, chiusi i pesanti registri che il castellano gli aveva pregato di ricontrollare – più per concedergli qualcosa da fare che non per vera necessità – il Medici si era messo a una delle finestre interne che davano sul primo cortile.

Avrebbe preferito stare sulle merlature, ma la moglie lo aveva rintronato fin troppo con le sue raccomandazioni. Il vento che aveva cominciato a tirare, freddo e infido, avrebbe potuto portargli qualche dolore di troppo, dunque era meglio restare dov'era.

Anche se non sapeva a che ora aveva intenzione di rientrare, il fiorentino sapeva di non avere di meglio da fare e così si armò di pazienza.

Finalmente, quando ormai la posizione fissa gli risultava penosa, il Popolano la vide oltrepassare il portone e attraversare per metà il cortile, fermandosi a parlare con il Capitano Mongardini, che era lì con un paio di altri soldati.

Giovanni fu tentato di andare subito di sotto, per correrle incontro, ma qualcosa non lo convinse, nel modo in cui la vide gesticolare con i suoi sottoposti.

Era visibilmente tesa per qualcosa e, nel mentre in cui l'ambasciatore si lambiccava per immaginare quale potesse essere il motivo della sua agitazione, la sua attenzione venne catturata da una nuova figura che si univa al quadretto.

Proprio quando Mongardini e gli altri ripartivano con un cenno del capo, un uomo, abbastanza giovane e ben piazzato, era entrato nel cortiletto e si era diretto senza indugio verso la Contessa che, essendo di spalle, non l'aveva notato.

Caterina era appoggiata al bordo del pozzo e stava cercando di liberare la mente. La pressione a cui si sentiva sottoposta in quei giorni rischiava di toglierle di nuovo la lucidità che aveva così faticosamente ritrovato negli ultimi tempi.

Fece appena in tempo a fare un profondo sospiro, in cerca di calma, quando sentì alle sue spalle una presenza inquietante.

Si voltò di scatto e si trovò faccia a faccia con un uomo che non credeva di conoscere. Questi la fissava in silenzio, la barba incolta e il volto sporco, come se fosse stato in giro senza fissa dimora da settimane.

"Vi ho scritto, molte volte..." fece quello, con le pupille che lasciavano trasparire rabbia e disperazione in egual misura: "Non mi avete mai risposto."

A quel punto, i sensi della Tigre si fecero più vigili. Si rese conto improvvisamente che, andati via Mongardini e i suoi due soldati, nel cortiletto in quel momento c'erano solo lei e quell'intruso. E poi si accorse anche che l'uomo le era molto vicino. Troppo, se avesse cercato di chiamare aiuto urlando qualcosa alle guardie che stavano sui camminamenti o accanto al portone, quello avrebbe fatto in tempo a farle qualsiasi cosa...

"Chi siete?" chiese a voce bassa Caterina, cercando in tutti i modi di ricollegare quel viso anonimo a qualche nome.

Mentre quello faceva una specie di sorriso sghembo, la donna se lo ricordò. Era stato uno tra gli ultimi che aveva condotto nelle sue stanze, prima di cedere a Giovanni. Quel viso senza attrattive e quel corpo statuario – malgrado gli abiti consunti e l'evidente stato di bisogno – non potevano essere di nessun altro.

"Non vi ricordate nemmeno chi sono..." fece quello, scuotendo piano il capo.

Appena la voce dell'amante deluso si spegneva, la Leonessa si avvide di uno strano luccichio che arrivava dal basso e, con un'occhiata velocissima, vide la lama del pugnale che l'uomo celava sotto il bordo della giacca sbrindellata.

"Non fate sciocchezze." gli disse, con la gola secca, chiedendosi come uscire da quella situazione che trovava paradossale.

"Perché? Tanto che ho da perdere?" ribatté quello, sollevando le sopracciglia.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora