Capitolo 328: Sera nimis vita est crastina

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Giovanni si svegliò lentamente, la testa un po' confusa e gli occhi che faticavano ad abituarsi alla luce riverberante che entrava dalla finestra.

Doveva essere già piena mattina e probabilmente quel bagliore insolito era dovuto a tutta la neve che era caduta durante la notte e che ora faceva da specchio al sole dicembrino.

Il Popolano si tirò su a fatica, scoprendosi ancora vestito come la sera precedente, e con tutte le articolazioni dolenti per il freddo preso dormendo scoperto.

Mentre cominciava a cambiarsi, Giovanni ricordò di colpo tutto quello che era successo dopo che era uscito dalla sala dei banchetti. Chissà come mai, nei primi momenti dopo il risveglio, non aveva avuto nessuna memoria di quella notte.

Ma adesso ricordava i baci, risentiva le mani calde e precise di Caterina sulla sua pelle, e rivedeva i suoi occhi che lo fissavano alla luce delle torce.

Si prese un momento per riflettere. Aveva agito d'impulso, la notte prima, senza ragionare su cosa sarebbe accaduto dopo.

Cosa avrebbe dovuto fare, di preciso, quando l'avesse rivista? Che cosa si sarebbe aspettata, lei, dopo quello che era successo? Se n'era già pentita, oppure, come lui, desiderava solo averne di più?

Quando ebbe finito di vestirsi, il Medici uscì dalla sua camera e, colto da un'ispirazione improvvisa, provò a bussare alla porta della Tigre.

Non rispose nessuno. Visto che doveva già essere abbastanza tardi, il fiorentino non si impensierì più di tanto e provò a cercarla in giro per la rocca.

Senza badare al fatto che avrebbe potuto suonare troppo sfacciato, quando si imbatté nel castellano Feo – che quella mattina sfoggiava due pesanti occhiaie e continuava a sbadigliare –l'ambasciatore domandò: "Sapete dove posso trovare la Contessa?"

Cesare masticò a vuoto un paio di volte, già pentito di essere rimasto a sentire i musici fino alla fine quella notte, sottraendosi importanti ore di sonno, e rispose: "Sì, è uscita molto presto, poco prima dell'alba."

"E dov'è andata?" chiese Giovanni, sulle spine, già pronto a saltare in sella e raggiungerla.

"Nei boschi, credo, ma non mi ha detto dove di preciso. Magari nella sua nuova riserva." fece il castellano, stringendo un po' gli occhi e fissando le iridi chiare del Popolano: "Fossi in voi, comunque, non proverei a raggiungerla."

Il Medici deglutì rumorosamente, chiedendosi se quella frase nascondesse qualche velata allusione, ma trovò comunque lo spirito di indagare: "Perché mi dite così?"

"Perché oggi la Contessa è di pessimo umore. Non la vedevo così da parecchio." rispose il castellano, facendosi pensieroso: "Forse non c'entra nulla, ma per come la conosco, può essere che sia perché sono vent'anni oggi che è stato assassinato suo padre, il Duca Sforza..."

Giovanni si morse il labbro, ragionando su quello che gli era appena stato detto e poi provò a chiedere, con poca convinzione: "Sapete quando rientrerà?"

Il castellano, a cui la Contessa aveva detto che forse sarebbe rimasta a Forlimpopoli un paio di giorni, sollevò le spalle e preferì restare sul vago: "E chi può dirlo."

Il Medici lo ringraziò comunque e poi, con un crampo allo stomaco che si era messo a torturarlo, preda dei suoi dubbi, si congedò e decise che quel giorno, dopo la Messa, si sarebbe dedicato alla corrispondenza.

L'affare del grano era quasi chiuso e voleva farlo andare in porto il prima possibile.


 "Avanti, muoviti." sibilò la guardia carceraria, prendendo Virginio di peso per le spalle.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora