Capitolo 331: Necessitas ultimum et maximum telum est

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"L'importante è che sia morta." disse Francesca Dal Verme, sistemandosi la reticella per capelli con disinvoltura.

Galeazzo Sanseverino la guardò un momento, cercando di capire come potesse essere tanto tranquilla.

Il Moro, dicevano tutti, era stato distrutto dalla morte della moglie e quello che avrebbe fatto da quel momento in poi era un mistero per tutti.

Anche Francesco Dal Verme pareva inquieto, anch'egli sorpreso dalla calma della sorella, che, invece, non aveva fatto una piega, quando aveva saputo che il Duca si era messo a cancellare tutti i suoi impegni pubblici, passando le sue giornate a piangere e disperarsi o, al massimo, a pontificare su migliorie e lavori da fare alla chiesa di Santa Maria delle Grazie.

"Quando partirete?" chiese a un certo punto la donna, guardando il Sanseverino e cominciando a giocherellare con il mazzo di carte che un tempo era stato di Bianca Giovanna.

Il fratello di Galeazzo, Giovan Francesco, lo aveva richiamato ad Alessandria, in modo che potesse dargli man forte nella zona di Novi Ligure, ma egli ancora non si era deciso a fare i bagagli, tanto meno aveva ancora richiamato a sé i suoi uomini.

"Credo per metà mese... O forse appena prima dell'inizio di febbraio, non saprei. Mio fratello non mi ha dato disposizioni precise..." disse l'uomo, passando nervosamente l'indice attorno al calice di vino che stava bevendo.

Francesca fece un sospiro impaziente, spiegazzando con non curanzatra due dita uno degli assi del mazzo di carte: "Dobbiamo anche trovarvi presto una nuova sposa. Bianca Giovanna è morta da abbastanza tempo, ormai. Nessuno potrà tacciarvi di essere insensibile. Siete un uomo ancora giovane e non avete figli. È tempo di provvedere."

Sanseverino sapeva che quello era il secondo passo del loro piano e forse, adesso che Ludovico Sforza era così preso dal proprio dolore, sarebbe stato anche più facile del previsto svincolare Voghera, Bobbio e tutte le altre terra che erano state di Bianca Giovanna e prenderne definitivamente il possesso.

Certo era, però, che ci sarebbe voluta una moglie giusta per lui. Come gli aveva più volte detto la Dal Verme: una donna di media nobiltà o di forte ricchezza, ma che non fosse in grado né dimettere il naso nei suoi affari, tanto meno di scoprire i suoi maneggi.

Tra i fratelli Sanseverino, a detta di tutti, lui era sempre stato quello meno dotato, con le armi. Era dunque lecito, pensava Galeazzo, tutelarsi in qualche altro modo.


Giovanni Medici stava preparando il cavallo per ripartire alla volta di Forlì. Il suo soggiorno nelle campagne che davano verso il riminese era durato più del previsto perché aveva dovuto fermarsi a causa di un attacco di gotta.

Per fortuna si era trattato di un episodio molto breve e nemmeno troppo doloroso e così, malgrado la neve che continuava a turbinare, il Popolano quella mattina era pronto a mettersi in cammino, con la salute abbastanza rinfrancata e con un atto di vendita al sicuro nella tasca del giubbone.

Rientrò nella locanda in cui aveva soggiornato per saldare il suo conto e mentre era al bancone a parlare con l'oste sentì le chiacchiere di due avventori appena arrivati che dicevano peste e corna del signore di Rimini.

"Castracane ha messo le guardie alla porta, ma sembra che l'altra notte il Pandolfaccio abbia provato ad ammazzarne un paio per entrare e prendersi la figlia di quel poveraccio!" stava esclamando uno.

L'altro lo guardava con tanto d'occhi, ribattendo: "Ma perché non lo fermano i soldati?"

"Stupido!" fece l'altro, alzando una mano e sbuffando: "L'esercito è suo! Vuoi che si ribelli a lui solo perché vuole rapire una ragazza?!"

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora