Capitolo 373: Ché voler ciò udire è bassa voglia.

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"Allora? Hai detto tutto a Ridolfi?" chiese Caterina, non appena Giovanni entrò nella loro camera.

La Contessa era allo specchio e si stava mettendo la sua crema che profumava di galbano. Il marito si era accorto che ultimamente aveva preso a usarla quasi tutti i giorni. Così come usava con maggior frequenza la sua lozione per tenere le mani morbide, in modo da non lasciarsele rovinare dai lavori manuali dai quali era solita non sottrarsi.

Insomma, in un certo senso, gli pareva che Caterina stesse tornando a curarsi di più, un po' come aveva sentito dire che facesse quando era sposata con il suo secondo marito.

Quando si erano conosciuti, non era ancora uscita dal periodo più buio della sua vita. Giovanni la ricordava benissimo, nei suoi eccessi e nella confusione che tutt'ora, a volte, la riacciuffava, rischiando di rimetterla davanti ai propri demoni.

Vedere come stesse lentamente riacquistando un equilibrio, arrivando perfino a indulgere di nuovo in cose che riteneva frivole, come la cura di sé, scaldava il cuore del Medici. Non tanto perché così sarebbe stata più bella per lui, quanto perché era il segno che qualche ferita in lei iniziava a guarire.

"Sì, gli ho detto tutto." affermò il fiorentino, andandosi a sedere sul letto, esausto.

La pioggia non accennava a smettere e quella giornata l'aveva stancato come non mai. Tuttavia, adesso che la notte stava scendendo, si sentiva molto meglio, malgrado le gambe doloranti.

"Come l'ha presa?" chiese la Tigre, finendo di mettersi la crema sul viso e voltandosi verso il marito.

"Dire che è euforico, sarebbe un eufemismo." riassunse in breva il Popolano.

Caterina non fece alcuna espressione particolare, limitandosi a dire: "Davvero era così contento?"

"Tanto che ha deciso di andare a festeggiare in un postribolo." precisò il Medici, con un'alzata di sopracciglio.

"È sempre il solito." commentò lapidaria la Contessa.

"Mi ha anche chiesto di seguirlo." soggiunse Giovanni, curioso di vedere come la Tigre l'avrebbe presa.

Si era atteso una battuta sprezzante, o anche un piccolo scatto di rabbia, invece il sorriso soddisfatto che increspò le labbra della moglie lo sorprese, e in modo molto piacevole: "E invece tu hai preferito restare qui con me." disse la donna, chiaramente fiera del successo ottenuto.

"Solo uno sciocco lascerebbe il tuo letto per quello di un'altra." assicurò il Medici, mentre la moglie gli arrivava accanto e, dopo un lungo bacio, cominciava a togliergli il giubbetto di raso.

Per poco il fiorentino non si mise a ridere da solo, ripensando alla mezza profezia fatta da Simone, ma si trattenne senza troppo sforzo, già anche troppo preso dalle mani di Caterina che, roventi e lisce come seta, si stavano già muovendo su di lui con intenzioni che conosceva molto bene.


 Ottaviano Manfredi si passò una mano tra i lunghi capelli biondi e continuò ad ascoltare i due chiacchierone che erano seduti alle sue spalle.

La locanda, una delle peggiori di Pisa, era piena di gente e il baccano era tale che per il faentino esule era difficile cogliere proprio tutto quello che i due si dicevano. Per di più, purtroppo, entrambi avevano un accento veneziano così forte che era quasi impossibile distinguere alcune parti del discorso.

Per fortuna, però, Ottaviano aveva capito che la maggior parte delle parti meno intellegibili erano solo bestemmie.

Quando i due cominciarono a discorrere d'altro, Manfredi si concentrò di nuovo sul calice quasi vuoto che aveva davanti.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora