Capitolo 288: Sii pronto nell'ascoltare, lento nel proferire risposta

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Il Cardinale Raffaele Sansoni Riario si sfregò le mani l'una contro l'altra, mentre firmava la carta di cambio destinata a Baldassarre da Milano.

La notizia che il suo Cupido Dormiente sarebbe arrivato nel giro di poche settimane lo aveva messo così di buon umore da fargli persino dimenticare le angherie che il papa gli faceva subire in riflesso alla sua insofferenza per alcuni dissapori familiari di cui il Cardinale non sapeva e non voleva sapere nulla.

Duecento ducati, una somma più che notevole per un piccolo quadro, ma Raffaele era un collezionista sempre più avido e i soldi non gli mancavano. Tolti quelli che destinava al mantenimento del cugino Cesare Riario, il Cardinale percepiva stipendi più che bastanti non solo per vivere, ma anche per indulgere in vizi come il collezionismo.

Riguardò l'intestazione e la cifra, per essere certo di aver scritto correttamente e poi suonò il campanello e uno dei suoi servi arrivò all'istante. Gli diede il documento, pregandolo di consegnarlo subito al mercante che attendeva fuori e poi si andò a coricare trasognato sul triclinio damascato che aveva posto vicino alla finestra aperta.

L'aria dell'aprile romano gli riempì i polmoni con una vitalità inaudita e, mentre socchiudeva gli occhi e incrociava le braccia dietro la nuca a mo' di cuscino, Raffaele fece vibrare le narici e sospirò, soddisfatto del colpo appena messo a segno.


 Appena ebbero finito di mangiare, Caterina e Giovanni lasciarono la sala dei banchetti e si avviarono vero il cortile d'addestramento.

"Forse ormai conoscerete questa zona della rocca, ma è il cuore pulsante della vita di Ravaldino, dunque mi pare opportuno iniziare da qui." spiegò la Contessa che, nel camminare, si portava sempre mezzo passo avanti all'ambasciatore fiorentino che, un po' per reverenza, un po' per comodità, lasciava questo breve spazio tra loro senza provare a colmarlo.

In più, restare a mezzo metro di distanza dalla donna, permetteva a Giovanni di osservare i riflessi dorati dei suoi capelli biondi e lunghi, lasciati sciolti sulla schiena, mentre la luce del sole li lambiva. Osservò con tanta attenzione da notarne anche qualcuno molto più chiaro degli altri, anzi, qualcuno proprio bianco.

Non lo trovò un difetto, ma un valore aggiunto. In fondo la Contessa Sforza non era più una ragazzina e quel velato segno del passare del tempo le conferiva ancor più autorità, rendendola allo stesso tempo molto più umana e terrena di come non la descrivessero i suoi detrattori più accaniti.

La Tigre mostrò al Popolano la sala delle armi, vantandosi un po' di alcuni pezzi veramente pregiati, alcuni arrivati da Ferrara e altri da Milano, e l'uomo parve davvero comprendere la qualità dei trofei di Caterina.

La donna ne rimase molto soddisfatta. Le piaceva potersi sentire orgogliosa dei propri acquisti ed era molto difficile trovare qualcuno che capisse a fondo il valore delle armi e delle armature che aveva acquistato. Era una sensazione che non provava da tempo. D quando aveva avuto ospite il cognato Alfonso d'Este, uno dei pochi – eccezion fatta per i suoi soldati migliori – con cui avesse potuto parlare di certi argomenti trovando un degno interlocutore, la Contessa non era mai più riuscita a discorrere in modo tanto filato e animato di armi e guerra.

Quando aveva provato a coinvolgere suo marito Giacomo nelle sue dissertazioni, il risultato era sempre stato tanto deludente da innervosirla e, a lungo andare, aveva interrotto ogni tentativo.

Giovanni, invece, anche quando venne condotto a visionare l'artiglieria e le fortificazioni attorno alla rocca, risultò entusiasta di ogni cosa e sapeva fare i commenti giusti al momento giusto, condendo i suoi interventi con domande interessate a cui la Tigre rispose con grande piacere.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora