Capitolo 305: A caccia

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Caterina si svegliò prima dell'alba e si preparò con cura, scegliendo abiti leggeri, visto il caldo di quell'agosto, ma non rinunciò né al pugnale sotto alle gonne, né agli stivali da caccia che indossava in ogni stagione per aver maggior presa sul terreno in caso di necessità.

Aveva passato quasi tutta la notte sveglia, a rigirarsi nel letto e a pensare. Anche se in alcuni momenti le era parso di impazzire e le tempie avevano cominciato a pulsare come tamburi, era bastato concentrarsi sull'impegno della mattina seguente per calmarsi abbastanza da non commettere di nuovo qualche sciocchezza.

Quando uscì dalla sua stanza, pensando di avere un discreto anticipo sull'ambasciatore fiorentino, in modo da poter andare per prima alla sala delle armi a scegliere il necessario per la battuta di caccia, se lo trovò davanti.

Giovanni stava aspettando da un po' fuori dalla porta della Contessa. Aveva dormito molto poco, teso ed euforico in egual misura per quell'inaspettato impegno e così, appena era stato pronto, si era messo in corridoio ad aspettare.

"Siete mattiniero." lo salutò Caterina, trovandosi un po' spiazzata dalla sua puntualità.

Il Popolano si diede una rapida passata tra i capelli con la mano e si esibì in un sorriso un po' timido: "Non volevo farvi attendere..." si scusò.

La donna fece un breve sospiro. Guardò per un istante il profilo dell'uomo che le stava davanti. La luce incerta che precedeva l'aurora filtrava dalle finestre che davano sul cortile interno e conferivano ai tratti di Giovanni qualcosa di molto particolare, che Caterina faticava a decifrare.

Mentre si sforzava di capire cosa fosse, si trovò a pensare che stava indugiando troppo a lungo sul suo volto e che avrebbe potuto destare l'ironia o almeno la perplessità del suo ospite, standosene lì muta e immobile a fissarlo, così disse: "Volete seguirmi? Sto andando alla sala delle armi. Poi possiamo prendere subito due cavalli e andare. Il mattino presto resta il momento migliore per trovare prede interessanti."

Il Medici la seguì molto volentieri attraverso i meandri silenziosi della rocca. Solo pochi armigeri erano già in movimento e si trattava più che altro di quelli che dovevano dare il cambio alle ronde notturne.

Caterina guidò l'ambasciatore lungo il perimetro del cortile d'addestramento e, quando furono alla sala delle armi, lo invitò a prendere ciò che preferisse.

"Cosa cacceremo di preciso?" chiese Giovanni, cominciando a saggiare diversi tipi di frecce alla luce delle torce.

La Contessa trovò quella domanda molto appropriata. Nemmeno Alfonso d'Este l'aveva fatta, quando erano usciti per una battuta assieme. Il ferrarese si era limitato ad armarsi in modo pesante, pronto a qualsiasi tipo di preda. Giovanni, in suo confronto, si stava dimostrando un uomo più incline a ragionare che non ad agire d'impulso.

"I cacciatori che sono usciti l'altro giorno mi hanno detto di aver visto più di un cervo e qualche cinghiale. Hanno sete e hanno caldo e si sono fatti molto imprudenti." rispose Caterina: "Dunque, a meno che non preferiate cercare conigli, preparatevi per bestie di taglia grossa."

Il Popolano finì di preparare il suo piccolo arsenale e, sollevando un sopracciglio, provò a mettere le mani avanti: "Sono davvero molti mesi che non esco a caccia. Prima non ne ho avuto tempo, perché stavo lavorando all'esilio di mio cugino Piero, e poi perché mi sono trasferito in città..."

"Non cominciate ad accampare scuse – gli sorrise Caterina, facendogli segno di seguirla verso le stalle – se farete una figuraccia, vi prometto che non ne farò parola con nessuno."

L'ambasciatore parve rassicurato solo in parte da quella promessa e lasciò che fosse la padrona di casa ad assegnargli una cavalcatura di sua scelta.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora