Un urlo graffiante e profondo squarciò il silenzio del palazzo del Governatore di Imola, e Tommaso, ancora riverso sulla scrivania, preda del sonno improvviso, si svegliò di soprassalto, confuso e frastornato.
Delle candele che gli facevano luce era rimasta accesa solo quella segnatempo, che era lì a ricordargli che erano passare più o meno due ore, da quando si era assopito senza accorgersene.
Stringendo gli occhi, si chiese cosa lo avesse strappato al sonno in modo tanto repentino, ma non gli ci volle molto per capirlo, perché un secondo grido, ancor più feroce e penetrante, lo fece scattare in piedi e correre verso la camera da letto in cui risposava la moglie.
"Devo andare..! Lasciatemi, devo..! Devo andare! È tardi! Mi aspettano..! Io devo..." la voce di Bianca, le mani protese in avanti come a cercare qualcosa, era affannosa, i suoi occhi erano vitrei, la sua fronte sudata.
Quando Tommaso le fu abbastanza vicino, vide la pozza di sangue che imbrattava le lenzuola e che si spandeva come una chiazza d'olio, a partire dal bassoventre di sua moglie.
Con il cuore in gola, il Governatore andò di nuovo alla porta e sbraitò, in cerca di aiuto. In pochi istanti, un nugolo di serve si stava già affaccendando attorno a Bianca, ma Tommaso non riusciva a sopportare le sue grida e le sue frasi sconnesse e senza senso.
"Andate a Forlì..." ebbe la prontezza di dire a uno dei servi che erano accorsi per vedere che stava capitando: "Dite subito a mia cognata che... Ditele di... Se può, che venga qui a Imola..."
Il domestico annuì, capendo senza che fosse bisogno di parole più precise, e terrorizzato, sia per il tono del padrone, sia per tutto il sangue che aveva visto colare giù dal letto quando le donne del palazzo avevano provato a spostare la padrona, che gemeva sempre più disperata.
Dopo un solo attimo di esitazione, il servo lasciò la stanza per adempire al suo compito.
Tommaso si sentiva impotente e l'unica altra cosa che gli venne in mente di fare fu prendere per la collottola uno dei paggi che erano arrivati a curiosare e ordinargli: "Corri alla rocca e chiama qui mia suocera!"
Quando il ragazzetto fu partito di corsa, il Governatore si premette i palmi contro le tempie, tentato di scappare, di sottrarsi a quell'improvviso dramma, ma poi, da sopra le spalle della levatrice, che era appena arrivata tutta trafelata e ancora in abiti da camera, Tommaso incrociò gli occhi colmi di lacrime e panico di Bianca e a quel punto si fece forza e le andò vicino.
Inginocchiandosi accanto al letto, mentre le donne cercavano di fare qualcosa per fermare l'emorragia, le baciò la fronte bollente e fradicia di sudore freddo e le sussurrò all'orecchio: "Ti amo, ti amo Bianca...Ti prego, non..."
Stava per aggiungere ancora qualcosa, ma un urlo della moglie, profondo e nero come la notte in cui erano immersi, lo zittì e lo fece scoppiare in lacrime.
La stanza era immersa nel buio della notte ed era silenziosissima, eppure Caterina non riusciva a prendere sonno.
L'aria era ancora gravata dal sentore dell'uomo che se n'era appena andato e la Tigre, che aveva creduto di trovare almeno il sollievo del sonno dopo quell'incontro, non faceva invece altro che rimuginare in silenzio, una mano sul petto che si alzava e scendeva lentamente e gli occhi fissi alla finestra chiusa da cui filtrava incerta la luce della luna.
Si sentiva stanca, le lenzuola umide di sudore sotto di lei le davano la strana sensazione di essere avvolta in una specie di bozzolo, eppure non riusciva a tacitare i tormenti della sua anima e quelli, di rimando, non la lasciavano dormire.
STAI LEGGENDO
Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)
Historical Fiction(Troverete le prime due parti sul mio profilo!) Caterina Sforza nacque nel 1463, figlia illegittima del Duca di Milano e di una delle sue amanti, Lucrezia Landriani. Dopo un'infanzia abbastanza serena trascorsa quasi per intero tra le mura del...