CAPITOLO XX

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La luce proveniente dall'ampia finestra lo costrinse a svegliarsi; si rifiutò di aprire gli occhi. Non aveva una chiara idea degli eventi della sera prima, nella sua memoria rimanevano solo immagini sconnesse: ricordava lui e Jimin entrare nel locale, l'errore irreparabile delle tequila, l'incontrollato desiderio di ballare e poi il nulla. 

Come se avesse bisogno di un contatto concreto con la realtà, alzò lentamente un braccio e lo poggiò sul petto, nudo.
Come mai non aveva la maglia? Fu improvvisamente pervaso dal panico e, come colpito da un getto di acqua gelata, spalancò gli occhi all'istante.
Guardandosi intorno, si sentì immensamente sollevato: quella non era la camera che condivideva con Jimin. 

Prendendo coscienza, infatti, gli era tornata alla mente, fulminea, l'immagine di loro due insieme che ballavano. Ringraziò davvero quell'ultimo briciolo di senno rimastogli in corpo che gli aveva impedito di seguirlo; non finire a letto con il proprio coinquilino e migliore amico era una di quelle regole di buona convivenza che si curava di non infrangere, per quanto la situazione potesse renderlo arduo.

Sollevato, si guardò intorno, come per trovar conferma di non essersi ingannato, e fu felice di poter riconfermare a se stesso che quella non era la loro camera. 

Tuttavia la sua tranquillità non era destinata a durare a lungo: quella non era casa sua.

Dove diavolo era finito? Con chi? Perché? Come? Cosa era successo? Le domande cominciarono ad affollarsi una dietro l'altra, incontrollate, e Hoseok, nonostante trovasse difficoltà anche solo nel tenere gli occhi aperti, si tirò su, iniziando a guardarsi intorno nella speranza di cogliere qualche dettaglio familiare. 

L'ambiente gli parve surreale, da sogno: il grande letto su cui si trovava era posto in mezzo a una stanza estremamente disordinata e ricca di dettagli insoliti. Vi erano secchi di vernice colorata lasciati a terra, macchie di colore sui muri e sui mobili graffiati. A lato della stanza stava un cavalletto, con accanto uno sgabello di legno su cui poggiava una tavolozza sporca. Le pareti, stracolme di mensole piene di contenitori di ogni forma e dal contenuto misterioso, erano tappezzate di quadri di ogni dimensione. 

Hoseok era spaventato, si guardò intorno confuso e, più malediceva se stesso, più non aveva idea di che cosa fare per uscire da quella situazione.

Nella stanza non c'era nessuno e, anche se ne fosse uscito, non sapeva dove andare, soprattutto tenendo conto del fatto che era in mutande.
Si alzò con l'intento di ritrovare come prima cosa i suoi vestiti e poi, possibilmente, scappare.
Si avvicinò meglio al cavalletto e non riuscì a decifrare il soggetto del dipinto: era qualcosa di astratto, dai toni caldi, senza un apparente senso logico. Si diresse poi verso l'ampia scrivania di legno accanto al letto e vi trovò sopra alcuni disegni; erano semplici schizzi, probabilmente, ma erano davvero sorprendenti. Notò che ritraevano esclusivamente persone e, inquietato quanto incuriosito, li spostò delicatamente sul tavolo per poterli vedere meglio. Fu davvero sorpreso quando notò che uno dei ragazzi ritratti era incredibilmente somigliante a Jungkook. Mentre stava per afferrare il foglio su cui era disegnata la figura del ragazzo, sentì la porta aprirsi; venne pervaso da un brivido.

Davanti ai suoi occhi comparve la figura di un ragazzo, un tipo decisamente particolare: indossava grandi occhiali dall'aria vintage e un'ampia camicia dai toni tra il viola e il rosso; i capelli castani, leggermente lunghi, erano in parte coperti da una coppola beige. Hoseok, dal solo aspetto, capì immediatamente che era l'autore dei disegni e il proprietario della casa in cui aveva dormito. Non ebbe il tempo di trovare il coraggio di parlare, che l'altro, guardandolo con un particolarissimo sorriso distratto, attaccò discorso.

«Ciao! Ti ho portato la colazione. Stai meglio?»

Hoseok notò solo in quel momento che stava reggendo tra le mani un vassoio con sopra un'ampia tazza di caffè, tutto l'occorrente per una colazione e un tulipano. 

Era terrorizzato: non sapeva chi fosse, né perché disegnasse Jungkook e soprattutto non riusciva a capacitarsi del perché gli parlasse come se tutto fosse normale. Si guardò intorno e, capendo che non aveva altre vie d'uscita, cercò di parlare.

«Grazie... Sì, sto bene - mentì e, interrompendosi un attimo, continuò - perché sono qui?»

L'altro lo guardò nuovamente con l'ampio sorriso di prima e, pacatamente, senza alcun tipo di imbarazzo, prima gli porse il vassoio, poi, dopo aver spostato la tavolozza a terra, si sedette sullo sgabello e cercò di accontentare Hoseok dandogli qualche spiegazione in più.

«Non ti ricordi proprio nulla, eh? - e, guardandosi un attimo intorno come se si fosse improvvisamente ricordato di qualcosa, continuò - ieri, alla festa, mi sa che hai bevuto un po' troppo.»

«Sì e a me sa che hai proprio ragione.» Ribatté, spaventato e innervosito a un tempo dal suo strambo modo di fare.

«Ieri ero anche io alla festa e, quando ti ho visto non proprio in forma, beh, ho pensato che fosse meglio che avessi qualcuno che ti portasse a casa.»

«Ma non sono a casa.» Lo interruppe Hoseok, sempre più nervoso.

L'altro, rimanendo composto nonostante l'evidente stizza del ragazzo, proseguì.

«Non hai saputo dirmi dove fosse, quindi ti ho portato qua. Avrei voluto chiamare qualche tuo amico, ma il tuo telefono ha il blocco e ti eri dimenticato pure quello. In ogni caso l'importante è che ora tu stia bene, non ti va proprio di mangiare qualcosa?»

Hoseok, sbalordito e insospettito da tanta gentile innocenza, non riuscì subito a fidarsi e, senza dargli risposta, continuò imperterrito a fargli domande.

«E perché sono mezzo nudo?»

L'altro, avendo intuito le insinuazioni dietro quella domanda, iniziò a ridere di cuore, tenendosi alla scrivania per non perdere l'equilibrio, tentando ancora una volta di chiarirsi.

«Tranquillo! Tra noi due non è successo nulla, davvero.- e, trattenendo le risate, aggiunse - Non mi sarei mai permesso di approfittare delle tue condizioni. Solo che, beh, ti ho trovato in bagno, praticamente steso a terra con la testa sul water e quindi mi sembrava poco carino lasciarti quei vestiti addosso, tutto qua.»

Hoseok, ora convinto dell'evidente sincerità del ragazzo, si vergognò come non mai. Prima di scusarsi, trovò il tempo di auto maledirsi almeno dieci volte e, tra una scusa e l'altra, lo ringraziò almeno un migliaio, di volte. Ancora mortificato per aver dubitato della sua buona fede, si rese improvvisamente conto che doveva essere molto tardi.

«Cazzo! Devo davvero andare, alle quattro devo essere a lavoro, ma almeno vienimi a trovare: come minimo devi lasciarti offrire una cena, chissà che fine avrei fatto se non ci fossi stato, sei un angelo.»

«Volentieri - rispose quello, gentilmente - anche perché dovrò riportarti i tuoi vestiti, ora sono a lavare. Ti presto qualcosa di mio, così sei libero di andare. Ah, io sono Taehyung!»

«Oh, che demente, non mi sono neanche presentato, io sono Hoseok e, per quanto avrei preferito farlo in altre circostanze, è davvero un piacere conoscerti.»

Vestitosi, Hoseok ringraziò ancora una volta il ragazzo e gli lasciò il suo numero, come il nome e l'indirizzo del Bar in cui lavorava, facendogli promettere che sarebbe andato a trovarlo. 

Uscito, fu investito dall'odore di salsedine.

La vista del mare, il sapore dell'atmosfera inconfondibile dei luoghi balneari, lo sollevarono un attimo dal senso di nausea e forte mal di testa, ma solo per un istante, perché fu subito colto da una nuova preoccupazione: a Roma non c'è il mare, dove diavolo era finito?!











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La vista del mare, il sapore dell'atmosfera inconfondibile dei luoghi balneari, lo sollevarono un attimo dal senso di nausea e forte mal di testa, ma solo per un istante, perché fu subito colto da una nuova preoccupazione: a Roma non c'è il mare, ...

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