CAPITOLO LX

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Jungkook richiuse il libro in un gesto di frustrazione; non ne poteva davvero più di studiare. Alzando lo sguardo di fronte a sé, sorprese Jimin intento a rispondere a un messaggio.

«Jimin-ssi! Complimenti, non posso distrarmi un attimo che subito guardi il telefono; non sei affatto un buon esempio.» Si lamentò, fingendo indignazione.

Quello alzò pigramente il capo dallo schermo per fissare gli occhi in quelli dell'amico; un sorriso spiritoso gli tagliò il volto.

«Oh, povero bimbo! Mi dimentico sempre che hai bisogno ancora di qualcuno che ti dia il buon esempio. Prometto che sarò uno Hyung migliore. Però comincio da domani.»

E, mentre ancora finiva la frase, tornò a concentrarsi sul cellulare. Jungkook scoppiò a ridere, quasi intenerito da quei suoi modi di fare che, per quanto cercassero di risultare minacciosi, finivano sempre per divertirlo. Capendo che era ormai inutile tentare ancora di studiare, si diresse verso il ripiano della cucina.

«Vuoi fermarti qua a mangiare? È più di una settimana che ceno da solo, morirò di solitudine se continuo così.»

«Vuoi davvero farmi credere che da quando Yoongi è partito non hai approfittato neanche una volta di avere la casa tutta per te?» Domandò l'altro, guardandolo malizioso.

Jungkook cercò di evitare quello sguardo, puntando veloce gli occhi verso un qualche angolo indefinito della stanza. Non rispose, fingendo di non aver notato le insinuazioni sottintese alla domanda.

«Allora? Ti fermi? Possiamo ordinare una pizza. Ho provato quella del locale qua dietro e giuro che è spettacolare!»

Jimin non rimase insensibile a quell'evidente tentativo di cambiare discorso e, sebbene la curiosità lo divorasse, cercò di rimandare le domande per non mettere ulteriormente in difficoltà l'amico.

«Um, sì, va bene. Avviso solo Hobi che non torno per cena.»

Per qualche secondo nessuno dei due osò proferire parola. Fu il minore che, vedendo in Jimin l'occasione perfetta per confessare le proprie ansie e preoccupazioni a qualcuno di fidato, si decise a parlare.

«Non ho detto a Yugyeom che Yoongi è partito.» Rivelò tutto d'un fiato.

Jimin lo guardò, tentando di celare la sorpresa provata a quelle parole. Si prese un attimo per riflettere, non voleva essere avventato; conosceva il carattere sensibile dell'amico e non intendeva fargli sentire più pressione del dovuto.

«Non glielo hai detto...? E c'è un perché?» Pose la domanda con tono curiosamente discreto.

«Non so se ci sia un perché, Jimin. Questo è il vero problema.»

Parlando, se ne stava con le mani poggiate al ripiano della cucina, guardando dritto di fronte a sé; muoveva nervosamente il muscolo della coscia destra, come a sfogare silenziosamente tutta la tensione che provava nel confessarsi tanto apertamente. Dopo qualche istante di esitazione, trovò il coraggio di continuare a parlare.

«Penso di aver paura. Ho tremendamente paura, a dire il vero. Insomma, so cosa si potrebbe aspettare se io gli dicessi di avere casa libera e non so se sarei pronto a soddisfare... le sue aspettative - e, così dicendo, fece roteare leggermente gli occhi verso l'alto, in un gesto che tradiva un sottile senso di imbarazzo - Non che lui mi abbia mai messo fretta, sia chiaro. Solo che, da quando a Capodanno mi ha baciato io... boh, io sento sempre la pressione di dovergli di più e ora non credo di volermi spingere oltre. Solo che mi vergogno terribilmente a dirglielo... Ho ventun anni e so di essere fin troppo cauto, ma, insomma, non voglio fare nulla di cui potrei pentirmi.»

Jimin rimase per qualche secondo a fissarlo, come a raccogliere tutte quelle informazioni che doveva ben elaborare; non voleva dargli una risposta scontata, né una che lo portasse a fare qualcosa che lo facesse sentire a disagio. Essere saggio non era esattamente il suo ruolo, ma per Jungkook poteva e doveva impegnarsi.

«Kookie... Non penso che tu debba fare nulla che non ti va di fare. E non conta un cazzo quanti anni hai, né cosa si aspetta Yugyeom. So che sembra una di quelle frasi da cioccolatini, però se ci tiene davvero a te non avrà problemi ad aspettare... Certo, non è facile trovare qualcuno disposto ad aspettare, questo è anche vero, ma non per questo devi forzare te stesso a fare qualcosa che non ti va di fare. Non so se si sia capito cosa intendo, insomma, sono un disastro nel dare consigli...»

«Pensi davvero che non sia un problema? Cioè, non lo trovi... strano?» Chiese l'altro interrompendo il filo dei suoi pensieri.

«No, ognuno ha i suoi tempi e i suoi desideri. Trovo assurdo che tu ti senta in dovere di adeguarti a quelli degli altri. Se non ti va di andare oltre non farlo, ti lascerebbe solo disgustato e triste. Quando sarà il momento lo capirai.»

«Lo spero, davvero... grazie e scusami se ti riempo sempre la testa con le mie paranoie...»

«Ma sei scemo? Gli amici servono anche a questo! Però ordiniamo la pizza, che pensare mi ha fatto venire fame.»

E, così dicendo, lo guardò con un sorriso spiritoso, cercando di smorzare l'atmosfera che si era fatta fin troppo seria.

ϟ

Stropicciò esasperato il foglio e, in un gesto di ribellione contro se stesso, lo gettò, facendolo finire in uno dei polverosi angoli del suo studio.

Guardò incredulo il punto della scrivania prima occupato da quel foglio; non era possibile: aveva di nuovo disegnato quegli occhi. Non era la prima volta che, provando a creare qualcosa di nuovo nel tentativo di distrarsi, un dettaglio di quel viso compariva furtivamente nella composizione. Era come se il suo subconscio gli si imponesse attraverso i tratti della matita. Ma quel ragazzo, quel ragazzo di cui neanche conosceva il nome, non poteva prendere pieno possesso anche della sua arte, non poteva permetterselo; era l'unica valvola di sfogo che gli rimanesse.

Spossato da quel senso d'impotenza, si alzò di colpo, allontanandosi dalla proprio banco di lavoro per andare a fissare lo sguardo nella strada oltre il vetro sporco della finestra.

Non era normale quello che gli stava capitando e lui se ne rendeva conto fin troppo bene. Come era possibile sentirsi tanto legato a una persona di cui di fatto non conosceva assolutamente nulla? Perché la sua vita doveva essere tanto influenzata da qualcuno di così lontano? Perché, nonostante non ci avesse neanche mai parlato, gli sembrava di essere costantemente osservato da quei due immensi occhi neri? Era una situazione assurda, senza alcun tipo di senso logico e il punto era che lui non aveva idea di come uscirne.

Conoscerlo era l'unico modo per liberarsi da quel senso d'impotenza. Sapeva che avrebbe potuto parlargli senza incontrare troppe difficoltà: sarebbe bastato chiedere a Hoseok e avrebbe saputo in un attimo dove trovarlo; ma non voleva. Che diritto aveva, lui, totalmente estraneo, di intromettersi nella vita di quel ragazzo? Il suo approccio non sarebbe stato privo di doppi fini, era inutile cercare di convincersi del contrario. Temeva di poterlo disturbare, di poter disturbare la sua felicità; tanto più tenendo conto del fatto che era fidanzato. Il desiderio di conoscerlo, di scoprire ogni più piccola sfumatura del suo carattere, lo possedeva interamente; ma dall'altra, la paura di potergli fare del male lo tratteneva.

Non c'era soluzione a quella situazione, l'unico modo era cercare di non pensarci.






Speriamo che la storia vi stia piacendo! 😊Lasciate tanti commenti che siamo curiose di sapere che ne pensate e se vi va votate mettendo una stellina⭐️! 😚💕

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