CAPITOLO LII

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Yoongi afferrò di fretta e furia e il cappotto, con il fiato ancora corto per la discussione appena avuta. Non riusciva a smettere di ripensare a ciò che era avvenuto, ma i ricordi di quei momenti si susseguivano tanto veloci e frenetici uno con l'altro da non permettergli di metabolizzare. Si sentiva umiliato, adirato, deluso. Aveva ormai un piede fuori dall'uscio quando si sentì chiamare e, pur riconoscendo in quella voce Namjoon, fece finta di nulla, aumentando il passo per impedirgli di raggiungerlo; quella situazione era tanto surreale, tanto dolorosa, che solo la più completa solitudine lo avrebbe potuto aiutare a superarla. Non voleva parlare con nessuno, non voleva nessuno al suo fianco, non voleva che nessuno si preoccupasse per lui o per il suo stato d'animo. Aveva semplicemente bisogno di riconciliazione con se stesso, di realizzare cosa era avvenuto, di elaborare e, se era possibile, di accettarlo.

Confuso, chiamò un taxi per farsi portare a casa. Non avrebbe saputo dire che strada avessero preso, descrivere il volto dell'autista, né quando tempo avessero impiegato; sapeva solo di essere finalmente arrivato a casa sua.

Non appena aprì la porta, l'ambiente familiare e la sicurezza di essere del tutto da solo, fecero crollare quella fasulla maschera di contegno che si era imposto di mantenere. Senza neanche accendere la luce, si diresse in camera sua, aprendo la porta con violenza, come se quell'impeto furioso potesse aiutarlo a sfogare il subbuglio di sentimenti confusi che si agitavano in lui. Tuttavia il fuoco della rabbia non era sazio; si diresse quindi verso la finestra, che spalancò con furia per sentire di nuovo l'aria gelida sul volto, quasi a raffreddare il sangue che gli ribolliva nelle vene. Il contatto con la realtà esterna lo fece rinsavire per un istante, ma subito gli passò concreta davanti agli occhi l'immagine di Hoseok che, con sguardo pieno di biasimo, lo rifiutava. Come a scacciar via quel ricordo si voltò di scatto e, in un gesto di ribellione contro la sua stessa mente, tirò un calciò alla libreria.

Respirava affannato, il suono degli ansimi pesanti era l'unico rumore a riempire la stanza buia. Avendo perso le forze per rimanere in piedi, si lasciò cadere sul letto con il petto rivolto verso l'alto, proprio come aveva fatto qualche ora prima, quando, già pronto per la festa, si agitava all'idea di ciò che sarebbe capitato. Rivide quel se stesso di poco tempo prima, ansioso, ma speranzoso e provò una profonda pena: che idiota era stato. Perché ci era cascato? Perché si era lasciato travolgere da quei stramaledetti sentimenti che sapeva essere sbagliati fin dall'inizio? Come mai era arrivato a tanto, senza curarsi della propria dignità, pur di confessare qualcosa per cui si vergognava? Era stato uno stupido, uno sprovveduto e un coglione, ma non a sperare che Hoseok ci sarebbe stato, bensì a confessarsi in quel modo, senza strategie o difese di sorta; solo esponendosi del tutto e mettendosi in ridicolo. Sapeva perfettamente che quello che provava era insolito e pericoloso, che avrebbe dovuto soffocarlo nel silenzio, ma aveva comunque agito d'istinto, forse per la prima volta in vita sua, e così si ritrovava la sera di Capodanno nel letto, solo, a piangere come un bambinetto di tre anni che abbia perduto il suo gioco preferito. Con l'unica differenza che per un bambino tutti son pronti a provare pena, mentre lui poteva contare esclusivamente sulla sua stessa compassione.

Cercò, in un ultimo slancio d'orgoglio, di tirarsi su. Istintivamente, posò lo sguardo sul pavimento e lì lo vide: a terra, nell'angolo della libreria, vi era quel dannato pupazzetto a forma di fiore; era caduto dallo scaffale quando aveva tirato il calcio. Rimase qualche istante con lo sguardo fisso sull'oggetto e, quasi automaticamente, si piegò lentamente a raccoglierlo. Se prima si era mantenuto in piedi sorretto per lo più dalla rabbia e dall'adrenalina che il litigio gli aveva provocato, ora tutto sembrava aver lasciato spazio alla più totale disperazione. Se prima aveva ripensato all'umiliazione subita, ai torti cui le parole di Hoseok l'avevano sottoposto, ora riusciva solo a pensare che lui non era lì, che non lì con lui non ci sarebbe mai stato. Seduto sul bordo del letto, il volto gli si contrasse in una pacata smorfia di dolore, una lacrima gli rigò il volto liscio e andò a insinuarsi tra le labbra semiaperte. Quasi come a nascondere quel pianto, si coprì il viso con le mani.

Rimase in quella posizione, piegato e solo, per un lasso di tempo che non avrebbe saputo definire.

La verità, quella più dolorosa anche di ogni rifiuto e di ogni umiliazione, era che lui lo desiderava ancora. Lo avrebbe voluto vicino in quel momento. L'unica persona da cui non avrebbe mai rifiutato un'offerta d'aiuto era proprio Hoseok, la causa delle sue stesse sofferenze. L'unica persona con cui avrebbe spartito volentieri la solitudine del proprio dolore di cui andava tanto geloso, era la causa del dolore stesso. Faticava a respirare, soffocato dalle lacrime e dall' amarezza che sembravano essersi fermate in gola. Se si era detestato per il suo comportamento infantile, ora non voleva né poteva smettere di piangere; quelle lacrime erano l'unica sula liberazione. Non gli importava essere ridicolo, sciocco o indifeso, ne aveva bisogno e l'universo doveva lasciarlo in pace a crogiolarsi nella propria angoscia, non chiedeva altro. Quel mal di stomaco che provava a forza di singhiozzi, paradossalmente, poteva farlo sentire meglio.

Ma dopo il pianto convulso arrivò il momento della riflessione: Yoongi aveva finito le lacrime e, accovacciato su un lato dell'ampio letto matrimoniale, cominciò a domandarsi cosa fosse andato storto, perché fosse finita proprio così; ma il suo cervello era incapace al momento di formulare le solite risposte razionali e analitiche che era sempre stato tanto bravo a dare. Si ricordò solo per un istante delle ultime, dolorose, parole di Hoseok in cui lo accusava di aver usato Jimin. Era stato incapace di rispondergli, aveva temuto di non saper controllare le proprie emozioni di fronte a lui e non aveva voluto per nessuna ragione al mondo correre il rischio di esporsi ulteriormente. Sapere che Hoseok poteva immaginarlo tanto subdolo da fare qualcosa del genere lo offendeva e addolorava nel profondo: che opinione aveva di lui? Quale immagine contorta si era fatto della sua persona? Sapeva di non essere simpatico, di poter sembrare scontroso e di aver peccato troppo spesso di superbia, ma non era mai stato un disonesto. Tuttavia Hoseok non sapeva riconoscergli neanche il pregio dell'onestà, sembrava riuscire a vedere solo difetti in lui. Si odiava per non aver neanche saputo difendersi da quelle accuse tanto ingiuste quanto infondate, ma non aveva avuto né aveva ora la forza per farlo; probabilmente l'avrebbe mai avuta. In quel momento non ne aveva neanche per alzarsi. Voleva solo che tutto finisse, che il dolore cessasse, aveva bisogno di confortarsi in un sonno riparatore. Fu così che, tra una lacrima e l'altra, sfinito, si addormentò.














Speriamo che la storia vi stia piacendo! 😊Lasciate tanti commenti che siamo curiose di sapere che ne pensate e se vi va votate mettendo una stellina⭐️! 😚💕

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