CAPITOLO LXV

184 35 15
                                    

«Dannazione.» Mugugnò a denti stretti, iniziando a strattonare la valigia rimasta incastrata nei sampietrini. Finalmente, con un po' di sforzo, riuscì a proseguire.

Si osservava intorno quasi smarrito, continuando a camminare: tornare a casa lo proiettava in un bizzarro senso di straniamento. Nonostante fosse stato lontano per relativamente poco, rivedere ora di fronte a sé i luoghi che era stato abituato a vedere quotidianamente e da cui poi si era allontanato comportava in lui un'inafferrabile percezione di confusione. Si sentiva come chi, dopo aver passato settimane chiuso nel buio della propria stanza, provi poi a uscire alla luce del sole.

Non aveva detto a nessuno che sarebbe tornato in mattinata; non aveva intenzione di far perdere tempo prezioso ai suoi amici. Sapeva bene che, nel caso in cui qualcuno ne fosse stato a conoscenza, di sicuro si sarebbe ritrovato uno di loro ad aspettarlo alla stazione. Ma non lo riteneva affatto necessario: si sarebbero rincontrati quella sera stessa, senza il rischio che qualcuno saltasse le lezioni solo per accoglierlo come se fosse stato lontano da casa per un secolo.

Si fermò improvvisamente; di nuovo quella dannata valigia. Esasperato, la afferrò per il manico decidendosi a portarla piuttosto che trascinarla: forse gli sarebbe costato qualche fatica in più, ma almeno non sarebbe stato costretto a fermarsi ogni cinque minuti. Piegandosi leggermente nel tentativo di prenderla, il suo sguardo si imbatté nella vetrina di un negozietto di articoli di cartoleria.

«Oh Cristo - pensò in silenzio, manifestando la propria frustrazione portando gli occhi al cielo - San Valentino.»

Non si era reso conto che il suo rientro coincidesse proprio con la data di quell'insulsa festività. Non che gli fosse mai importato particolarmente, anzi: non gli era mai dispiaciuto essere solo il quattordici Febbraio più di quanto non gli potesse dispiacere di esserlo in ogni altro giorno dell'anno. Ma questa volta, forse, era diverso. Un senso di fastidiosa inquietudine lo aveva scosso nel momento in cui si era reso conto che il giorno dopo sarebbe stato San Valentino, forse lo infastidiva l'ennesima ironia del destino che lo colpiva dritto in faccia. Se ne era scappato in un'altra città per sfuggire all'innamoramento e si era ritrovato a dover tornare proprio il giorno della festa degli innamorati.

Sorrise; in fondo non poteva farci nulla. Perso nelle proprie riflessioni, continuò ad andare avanti; non vedeva l'ora di potersi disfare di quella stupida valigia. Camminando, tentava di farsi distrarre da ogni dettaglio, da ogni più piccola circostanza; qualsiasi cosa, piuttosto di evitarsi di pensare. Sapeva che era meglio ragionare su quanto fossero antichi quei palazzi, su quanti piedi avessero calpestato quello stesso pavimento, su cosa pensava quell'uomo in giacca e cravatta davanti al suo cheeseburger, piuttosto che lasciare la propria mente libera di vagare: sapeva bene su cosa andava puntualmente a finire qualora non le imponesse un freno. Assorto in quel modo in quelle volute distrazioni, non si rese conto di trovarsi pericolosamente vicino al Bar in cui lui lavorava.

Idiota! Aveva evitato quella strada per due settimane prima di partire per Firenze, allungando il tempo di ritorno a casa di almeno dieci minuti nonostante il freddo gelido e, ora, come un cretino, era a due passi da quella porta. Chiuse gli occhi come a rimproverarsi e, tirando un lungo sospiro, si voltò; sarebbe tornato indietro per prendere l'altra strada.

«Jimin, ti ho detto di no! Non è che se me lo chiedi sedici volte al giorno Daniel ti sentirà e me lo chiederà, ok? Smettila, domani sono con te. Um, Tae? Sì, bravo! Vedi che sai essere intelligente quando vuoi.»

Fu in quel momento, quando già aveva compiuto il primo passo in direzione opposta a quella del proprio appartamento, che sentì la voce, la sua voce. Un senso di panico paralizzato lo avvolse interamente, ma non per questo smise di camminare: la paralisi, più che fisica, gli comportò un offuscamento dei sensi. Continuò a camminare, macchinalmente, istintivamente, ma era come se in quel momento non vedesse dove stesse andando, non sentisse più il peso della valigia, né il freddo; l'unica cosa che sentiva chiara e indistinta, anche se sempre più flebile, era l'eco di quella voce.

ϟ

Lasciò che la suoneria proseguisse liberamente per qualche secondo prima di alzarsi a rispondere. Al terzo squillo posò calmo la matita sulla scrivania di legno e, curioso, lesse sullo schermo il nome di chi lo stava chiamando: sconosciuto, strano. Chi poteva essere? Non lo chiamava mai nessuno a parte Hoseok per ricordargli che il mondo là fuori esisteva ancora. Un po' titubante, afferrò il telefono e rispose.

«Pronto?»

«Tae! - esclamò una dolce voce entusiasta al di là dell'apparecchio - come stai?»

«Mmm, bene, più o meno. Ma chi sei?»

«Come chi sono! Mi hai appena spezzato il cuore sappilo. Io mi salvo il tuo numero e tu non ti salvi il mio? Se non avessi visto con i miei occhi quanto sei dolce mi starei offendendo a morte. Sono Jimin, comunque. E se ti stessi chiedendo chi è Jimin, beh, sono l'amico di Hoseok, quello biondo...?»

Un sorriso impercettibile si venne a disegnare sul volto di Taehyung; dall'altra parte, Jimin, inconsapevole, attendeva una risposta.

«Uh, sì! Cero che mi ricordo di te, davvero, scusa, ma non ti ho riconosciuto dalla voce. E tu come stai, Jimin?»

«Non c'è male. Senti, non voglio distrarti dalle tue faccende da intellettuale per troppo, quindi vado al dunque: non so se lo sai, ma domani è San Valentino, la festa degli innamorati e bla bla. Ecco, dato che non ho intenzione di deprimermi, ho chiesto a Hobi e lui è libero... quindi pensavamo di andarci a bere qualcosa insieme... O di ubriacarci in casa, insomma, è uguale. Se ti senti solo o ti va di vederci sappi che sei il benvenuto!»

Jimin percepì in lontananza il suono di una lieve risata.

«È una bellissima idea, davvero. Ci sono, anche se io non bevo.»

«Tutti non bevono prima di conoscere Park Jimin, mi piacciono le sfide. Comunque perfetto! Dalle otto siamo in casa, raggiungici quando vuoi... A domani!»

«A domani.»

Chiudendo la chiamata, rimase per qualche secondo a fissare lo schermo scuro del telefono con il sorriso ancora stampato in volto. Se Hobi, da solo, poteva sembrare quasi una persona pacata, Jimin sapeva tirare fuori il suo lato più esuberante; quei due insieme erano uno spettacolo. Doveva proprio chiedergli se avessero mai ballato insieme, di sicuro sarebbero stati un duo strepitoso.











Speriamo che la storia vi stia piacendo! 😊Lasciate tanti commenti che siamo curiose di sapere che ne pensate e se vi va votate mettendo una stellina⭐️! 😚💕

Speriamo che la storia vi stia piacendo! 😊Lasciate tanti commenti che siamo curiose di sapere che ne pensate e se vi va votate mettendo una stellina⭐️! 😚💕

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.
Collision || BTS #Wattys2019Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora