CAPITOLO LXXIII

166 34 20
                                    

«Non era il caso che venissi fino qua, davvero... Potevi restare a casa con Tae. Ti ho chiamato solo perché avevamo pensato che avresti potuto accompagnare Jungkook, sai, sembrava un po' agitato...»

Hoseok parlava, privo di quel solito entusiasmo che sempre lo caratterizzava; era lì ormai da qualche ora, eppure Namjoon non era ancora uscito a dare notizie. Probabilmente Seokjin non si era ancora svegliato. Sbuffò, come a liberarsi da quella pesantezza che sentiva premergli addosso.

Yoongi, con gli occhi chiusi, se ne stava a braccia conserte; la testa appoggiata al muro, quasi non riuscisse a reggersi su da sola. 

«Ha ragione, Jimin... non era il caso di scomodare anche te - mugugnò, non aprendo gli occhi e non muovendo un muscolo se non quelli utili a parlare - oltretutto c'è pure il vostro amico... Mi dispiace di avervi rovinato così l'atmosfera.»

«Ma scherzi?! - urlò il minore, agitato, per poi abbassare subito la voce nel rendersi conto che, forse, quello non era il posto più adatto per le grida - parli come se fosse colpa di qualcuno! E non mi ha disturbato nessuno di voi; ho deciso io di venire qui e portarvi la colazione... È il minimo che posso fare, mi sento così... inutile.»

E, in un gesto infantile di frustrazione, gonfiò le guance, puntando lo sguardo fisso a terra; le braccia conserte strette sul busto a donargli un non so che di buffamente indifeso. Hoseok lo guardò e, immensamente intenerito, allungò d'istinto un braccio per arrivare a sfiorargli la mano; attirata la sua attenzione, gli sorrise delicato, nel tentativo di rassicurarlo. 

Giudicando che fosse meglio per tutti evitare di ricordarsi quanto si è inutili davanti a certe circostanze che la vita ci impone, pensò che fosse meglio cambiare discorso.

«Ma... Tae? Non capisco dove sia andato a prendere i caffè... È via da troppo, non credi?»

«Ci sarà stata coda alle macchinette... - rispose quello, avvicinandosi di qualche passo per potergli accarezzare dolcemente i capelli - piuttosto: Jungkook dov'è? Non dovrebbe essere già qua?»

«Mi ha scritto poco fa - spiegò Yoongi, aprendo gli occhi e cambiando finalmente posizione su quella sedia che stava iniziando a diventare insopportabile, più che scomoda - dovrebbe essere qua a minuti.»

ϟ

Jungkook, arrivato da poco, si apprestava a passo svelto verso i bagni. Camminava concitato, tutto preso da quell'agitazione che lo aveva attanagliato dalla chiamata di Yoongi; non poteva né voleva credere a quello che era capitato a Seokjin. Immaginarlo in una di quelle stanze anonime, disteso su un letto, inerme, lo destabilizzava; proprio Jin, lui, che era sempre pieno di vita, quel genere di amico che non dà mai idea di aver alcuna preoccupazione, nessun problema, ora... Scosse di riflesso il capo, come a scacciare via quei pessimi pensieri che gli avvelenavano la mente e l'animo. Sperava solo che Namjoon li chiamasse presto; l'attesa lo corrodeva da dentro e sapeva bene che, sebbene fosse abilissimo nel non darlo a vedere, Yoongi stava provando lo stesso.


Non capiva perché non lo avesse avvisato subito. Si era catapultato in ospedale non appena aveva ricevuto la chiamata della polizia, a notte fonda, senza dirgli nulla; come sempre aveva voluto proteggerlo, come sempre Jungkook rimaneva il bambino di casa.

«Non sapevo neanche cosa fosse successo; non aveva senso svegliarti e farti impanicare magari per nulla.»

Si era giustificato in quel modo, con quelle poche parole che aveva dovuto farsi bastare. Da canto suo, Jungkook aveva tentanto di protestare, ma nulla era servito a convincere l'amico che avrebbe dovuto avvisarlo subito. Sbuffò; due soffi di aria calda vennero liberati dalle narici, in un gesto di agitato fastidio. In un attimo, però, come spossato, rilassò i muscoli affaticati del corpo, lasciandoli andare, liberandoli da quell'ansia che li teneva in tensione.

«Chi se ne frega - pensò, silenzioso - l'importante è che Seokjin sia... vivo.»

Percorrendo il corridoio, svoltò con agilità a destra, seguendo le indicazioni dei cartelli, unica e spoglia decorazione, se così si poteva definire, di quelle parete bianche e vuote.
E, proprio mentre permetteva all'ansia accumulata di scivolare mano a mano via dal corpo, fu costretto improvvisamente ad arrestarsi, obbligandosi a rallentare; un rumore aveva catturato l'attenzione dei suoi sensi. Torse appena il busto, seguendo la direzione di quello scricchiolare di plastica; notò il liquido scuro spandersi sul pavimento e subito puntò lo sguardo dritto sulla figura di quel ragazzo rannicchiato a terra. 

Qualcosa di indefinibile in quell'immagine che gli si stagliava davanti gli trasmetteva sensazioni di estrema familiarità; era come se quel gesto umile, quel caso di un bicchiere rovesciato, quella chioma castana di capelli appena più lunghi del dovuto, gli riportassero alla mente ricordi confusi, ricordi sparsi e amalgamati nel fangoso terreno della memoria. Non capiva per quale motivo, ma non riusciva a staccare lo sguardo da quella figura voltata di schiena, ne sembrava esser stato improvvisamente rapito, come se un non so che di magico avvolgesse l'aurea di quel ragazzo sconosciuto. Sentì farsi pungente, dentro di sé, l'istinto di aiutarlo, per quanto raccogliere un bicchierino di plastica caduto a terra non fosse nulla che richiedesse il proprio intervento; fece involontariamente un passo avanti, incapace di resistere a ciò che l'animo gli suggeriva.

Fu probabilmente il rapido rumore della scarpa a contatto con il freddo pavimento di marmo giallastro a far voltare il ragazzo in sua direzione; fu in quel momento che li rivide: rivide, specchiati nei propri, due intensi ed enigmatici occhi scuri; due occhi dalla forma a mandorla particolarissima e per questo estremamente interessante; due occhi che, per qualche segreta e incomprensibile via dell'animo, riuscivano a parlare, senza però dare mai certezze. Fu quella sensazione di mistero, quella subitanea gemma di curiosità che nacque in lui, quell'inspiegabile attrazione nei confronti dei tratti di uno sguardo, di un volto sconosciuto, che gli fecero capire da dove provenisse il senso di familiarità che prima lo aveva posseduto; sapeva di aver già visto quel ragazzo. Era lui, ne era sicuro, senza neanche sapere bene il perché. Era il ragazzo che indossava una cravatta viola la sera di Capodanno, quel ragazzo cui, nel momento in cui Yugyeom lo aveva baciato, si era visto scivolare tra le mani il calice di vetro, facendolo infrangere al suolo. Era il ragazzo che aveva creato quel ricordo, il ricordo di quel rumore di vetri rotti al suolo, quel suono che, inspiegabilmente, continuava a tormentarlo ogniqualvolta tentasse di richiamare alla memoria la scena. Fece un altro passo in sua direzione; un spontaneo sorriso di gentilezza si fece spazio sul suo volto.

«Jungkook! - Udì una voce conosciuta richiamarlo con decisione - Jungkook! Jin si è svegliato! Muoviti! Jin è sveglio!!»






Speriamo che la storia vi stia piacendo! 😊Lasciate tanti commenti che siamo curiose di sapere che ne pensate e se vi va votate mettendo una stellina⭐️! 😚💕  

Speriamo che la storia vi stia piacendo! 😊Lasciate tanti commenti che siamo curiose di sapere che ne pensate e se vi va votate mettendo una stellina⭐️! 😚💕  

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.
Collision || BTS #Wattys2019Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora