CAPITOLO LXIX

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Hoseok aprì la porta della camera da letto cercando di non far rumore dirigendosi a passi leggeri verso l'armadio, da cui afferrò i primi indumenti che gli passarono sotto mano. Uscì veloce, facendo attenzione a non inciampare e, silenzioso, tornò in cucina. Nonostante il caso non avesse giocato a favore del migliore degli abbinamenti, si vestì alla svelta e, con andamento ancora assonnato, cominciò a prepararsi il caffè. 

Era ormai diventata una piacevole abitudine da quando si era trasferito in Italia: forse era inevitabile affezionarsi a quella bevanda lavorando in un Bar in centro a Roma o forse, semplicemente, quel retrogusto amaro intenso nella gola lo lasciava soddisfatto; chissà perché molti non riuscivano a farselo piacere. Guardò d'istinto di fronte a sé, imbattendo lo sguardo in Namjoon, che, scomposto, dormiva sul divano: di certo, se voleva sopperire in qualche modo ai postumi della sbornia, avrebbe dovuto mettere da parte la ritrosia per l'espresso almeno per le successive ventiquattr'ore.

Ammetteva di essere rimasto sorpreso, la notte prima, nel scoprirli tutti e tre ubriachi; da Jimin se lo aspettava, ma da quanto ne sapeva Taehyung era astemio e Namjoon... beh, Namjoon era Namjoon.  Per quanto faticoso in fondo era stato divertente riportarli a casa: a quanto pareva sotto gli effetti dell'alcool Namjoon diventava logorroico, Jimin ci provava anche con i sassi e Taehyung, quando non ballava, diventava ipersensibile; era quasi sicuro che stesse per scoppiare a piangergli addosso quando gli aveva spiegato di essersene andato perché la serata con Daniel non era finita nel migliore dei modi. 

Senza dubbio erano un trio curioso; avrebbe fatto bene a stare con loro piuttosto che seguire quell'idiota.

«Va beh, non ha senso piangere sul latte versato - pensò, sconsolato, mentre si versava il caffè bollente - però cazzo, basta, Hoseok. Basta.»

Non voleva più avere a che fare con persone che dessero prova di non stimarlo affatto. In più, per quanto non condannasse affatto il sesso occasionale, semplicemente iniziava a pensare che, forse, non faceva troppo per lui. Soprattutto se con quel coglione di Daniel.

Lo aveva preso in giro tutto quel tempo, di nuovo. Se non era andato dritto al punto fin da subito era solo perché sapeva bene come trattarlo, come manipolarlo: sapeva perfettamente che sarebbe partito prevenuto nei suoi confronti e, per aggirare il muro di diffidenza, aveva pensato bene di insinuare in lui l'idea che fosse cambiato. Invece rimaneva il solito, subdolo, stronzo che si approfittava della situazione per raggiungere i propri scopi. Probabilmente gli aveva chiesto di uscire all'ultimo perché qualcuno gli aveva dato buca e lui era stato tanto cieco da non volersene accorgere. Probabilmente, quando aveva saputo che anche lui era a Roma, aveva voluto per capriccio sfidarsi e vedere se poteva averlo un'altra volta. 

Se solo non fosse stato così coglione da dire quella frase ci sarebbe anche riuscito, oltretutto.

«Basta! - urlò mentalmente a se stesso imponendosi di respirare profondamente - rimuginarci su non ti farà che venire il mal di stomaco. Non è successo, questo è l'importante. Non è successo e da oggi non permetterai più che possa succedere.»

Arrivò lo squillo di un telefono ad aiutarlo a interrompere quel flusso distruttivo di pensieri. Voltò il capo di scatto, tenendo ancora la calda tazzina di ceramica tra le mani, e, guardandosi intorno, tentò di capire da dove provenisse il rumore della suoneria; vide un cellulare, abbandonato sulla piccola credenza all'ingresso, muoversi per via dell'incessante vibrazione. Realizzando che doveva essere il cellulare di uno dei tre che ancora dormivano, tornò a sorseggiare il proprio caffè, godendosi quella tipica sensazione di calore attraversagli il petto. Il cellulare smise di squillare, ma, nel tempo di pochi secondi, la vibrazione riprese allo stesso ritmo, asfissiante. Iniziava a irritarlo: chi mai poteva avere tanta urgenza di parlare con uno di loro? Alle nove di sabato mattino, oltretutto. Continuò a lasciarlo suonare, cercando di non badare troppo a quel fastidioso ronzio; finalmente la vibrazione cessò un'altra volta. Tuttavia non ebbe neanche il tempo di poggiare la tazzina nel lavabo, che il cellulare tornò a muoversi sulla credenza come poco prima. Esasperato, più che preoccupato, si diresse verso l'entrata e afferrò il telefono, cercando di capire chi potesse essere così dannatamente insistente.

Gli occhi si scostarono istintivamente dallo schermo a terra quando decifrò il nome sullo schermo: "Yoongi". Immaginò che dovesse trattarsi del telefono di Namjoon, ma, nonostante l'evidente urgenza manifestata, non trovò il coraggio di rispondere prima che il cellulare smettesse di vibrare proprio tra le sue stesse mani. Rimase un istante immobile, guardandosi impercettibilmente intorno, come a cercar la decisione di posare il telefono da dove lo aveva preso, ma, prima che riuscisse a farlo, una suoneria che conosceva decisamente meglio, quella di Jimin, cominciò a propagarsi nell'appartamento. Si avvicinò lentamente alla sedia di legno da cui pendeva la giacca dell'amico e, con atteggiamento quasi titubante, estrasse dalla tasca il cellulare: era ancora Yoongi.

Cosa doveva fare? Rispondere? Insomma, Yoongi non era il tipo di persona da disturbare anche Jimin per un capriccio, o almeno non pensava, però... era Yoongi, diavolo. 

Anche la nuova suoneria si affievolì tra le sue mani; non ebbe il tempo di giustificarsi o sentirsi in colpa, che subito due messaggi arrivarono prima sul cellulare di Namjoon e poi su quello di Jimin:

"Nam, puoi rispondere, per favore? Devo dirti una cosa, è abbastanza urgente. Chiamami appena puoi."

«Jimin, dove cazzo siete finiti?? So che Nam era con te ieri sera, devo parlarci: ti prego fai in modo che mi chiami!!»

Se non fosse stato sicuro che Taehyung non poteva averlo conosciuto, ora avrebbe temuto di sentire il rumore di una nuova suoneria, ma così non fu; almeno non esattamente: Hoseok udì in effetti un cellulare iniziare a squillare, ma, questa volta, riconobbe nella melodia la propria suoneria.

O Cristo, se Yoongi si era spinto a tanto cosa era successo? Colto da un eccesso di panico posò gli altri due cellulari sulla sedia per rispondere senza pensare più a nulla.

«Yoongi...? Che succede?» Domandò con un filo di voce.

«Scusa se disturbo, Hoseok, ma è qualcosa di molto importante. Namjoon è lì da voi? So che usciva con te e Jimin ieri sera.»

«Sì, sta ancora dormendo.»

«Bene, senti. Avrei parlato direttamente con lui, ma forse è andata meglio così; forse tu puoi essermi d'aiuto.»

«Cosa diavolo sta succedendo? Mi sto preoccupando...Per favore...»

«Sono in ospedale, ora. Mi sono svegliato con una chiamata alle quattro stamattina... in pratica Seokjin è stato... è stato coinvolto in un incidente.»

La voce al di là dell'apparecchio sembrò spezzarsi con l'ultima frase pronunciata. Hoseok non seppe trovar risposta; i due rimasero in silenzio per qualche istante.

«Sono preoccupato - continuò Yoongi - da quanto ho capito è stato investito, ma non  vogliono dirmi un cazzo di niente per problemi di privacy, non essendo io un parente. Ho provato in ogni modo a farmi dire qualcosa, ma non ne vogliono sapere e sono qua da ore ad agitarmi inutilmente.»

«Yoongi... Io...»

Hoseok rimase immobile, con lo sguardo rivolto verso il nulla; la bocca aperta nel tentativo di dire qualcosa; l'incapacità di articolare una frase che potesse apparire sensata.

«Ascoltami, noi non possiamo impanicarci: lo farà già Namjoon per noi, credimi, soprattutto quando sarà colto dai sensi di colpa per non aver risposto subito. Ti prego, sveglialo e portalo qua con una scusa, ti invio la posizione dell'ospedale con il nome e tutto. Non dirgli che Seokjin è grave, non so neanche quanto in effetti lo sia e, se veramente lo fosse, non faremmo altro che spargere il panico. Ti prego, cerca di recitare meglio che puoi.»















Speriamo che la storia vi stia piacendo! 😊Lasciate tanti commenti che siamo curiose di sapere che ne pensate e se vi va votate mettendo una stellina⭐️! 😚💕  

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