Prologo

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Se chiudo gli occhi e trattengo il respiro, posso stordirmi abbastanza da dimenticare perché sono qui.

Da qualche parte nel mondo, sul picco di uno strapiombo, una casa immersa nella natura si prepara ad accogliere una nuova famiglia.

Il corridoio dalle pareti beige è decorato da fotografie di una famiglia felice. La moquette chiara attutisce il rumore dei passi, fino ad arrivare davanti alla porta in legno scuro, forse noce. Lo scatto della maniglia: la mia stanza dalle pareti calde, il grigio, soffice letto e la vetrata splendente.                                                      

Sfioro la libreria con i polpastrelli e sento che questa risponde; pulsa, incoraggiata delle parole d'inchiostro incise nella carta sgualcita che odora di sapere.

Mr Dunky dorme acciambellato sulla trapunta cipria ai piedi del letto, apre un occhietto curioso, sbadiglia e torna a dormire.                                         

Mi sfilo le Vans ormai rovinate e siedo a gambe incrociate davanti all'enorme finestra che prende lo spazio di un'intera parete.

Il crepuscolo tinge in cielo di sfumature ocra contornate dall'indaco che presto diventerà nero. Le nuvole cineree vengono solleticate dalle punte degli abeti; alcuni di questi sono di un verde intenso, scuro e compatto. Altri, invece, sono di una tonalità più chiara, azzurrina, vicina al verde acqua.

La fitta foresta è l'unica cosa che mi fa apprezzare il trasloco. La notte, quando ogni rumore della casa è annullato dal sonno, se apro la finestra riesco a sentire il gorgogliare dell'acqua: non troppo distante deve esserci una cascata. O magari un fiume.

Le prime notti non ho chiuso occhio, forse perché lo scricchiolio del parquet al piano di sotto mi faceva rabbrividire. Qualcuno, una volta, mi ha detto che le case in montagna sono infestate dagli spiriti. Così, per coprire gli inquietanti rumori, avevo aperto la finestra e lasciato che lo sciabordio dell'acqua e il frinire dei grilli colmasse l'apnea della mia stanza, come se fino a quel momento fossi rimasta sottovuoto. Come se fino ad allora avessi trattenuto il respiro.

La stanza da su uno strapiombo del quale non si vede la fine. È stato fin troppo facile scovare il nascondiglio della chiave della finestra che i miei genitori credevano non avrei mai trovato. Eppure eccola qui, piccola e dorata; le chiavi dell'inferno. O del paradiso. Credo dipenda dai punti di vista.

Il profumo di pino invade l'ambiente, spinto dalla fredda aria che mi scompiglia i capelli e mi apre i polmoni.

La cosa più bella, comunque, è sedersi sul bordo e guardare giù, nella gola dello strapiombo.

Non ho la minima intenzione di parlare alla mia famiglia del calore che mi invade il petto quando, sporgendomi dalla finestra, guardo giù. Sembra che la roccia acuminata mi chiami, mi inviti a saltare. E una parte di me vorrebbe obbedire. Poi, però, Mr Dunky miagola ed io torno in me. Il gatto mi guarda con apprensione, come se riuscisse a capirmi. Ma non mi capisce, per fortuna.

Tutte cazzate.
Credo che quella del gatto che mi chiama sia solo una scusa; la verità è che ho paura di lanciarmi. O meglio: vorrei sentire il vuoto entrarmi nello stomaco, i capelli dibattersi di rabbia sulla testa, i polmoni saziarsi di ossigeno e, anche se alla fine mi schiantassi, non sarebbe male se quella foresta fosse l'ultima cosa che vedo.

Poi, però? Dove sono? Dove posso ritrovare me stessa schiantata al suolo? E se dopo la caduta non ci fosse il vuoto assoluto ma una nuova dimensione in cui continua a esistere il dolore?

La vera paura non è il nulla più totale, ma la presenza di una nuova sottospecie di "vita" in cui smettere di soffrire non è contemplato. E allora che senso avrebbe mettere fine a questa di vita?

Mi piacerebbe volare, se avessi un paio d'ali incollate alla schiena penso che non farei altro. Sarei Icaro, volerei in alto, sempre più in alto, fino a scottarmi col sole. Ma qui il caldo non esiste; credo che non esista neanche la parola. Senza sole non posso bruciarmi.

Il giorno, invece, la foresta è chiassosa. Gli animali non sembra che si preoccupino di essere silenziosi, soprattutto gli uccelli. È un continuo tamburellare dei picchi, cinguettare dei passeri e gracchiare dei corvi. Gli scoiattoli si arrampicano in fretta sulla corteccia degli alberi e le volpi scavano con insistenza nella terra umida. Al calare del giorno, si sentono i gufi bubolare e i pipistrelli sbattere le loro ali tra le foglie.

Assolutamente nulla a che vedere con l'ululato dei lupi che raramente si espande nell'intera foresta fino a fare breccia nel mio cuore. Se solo potessi, mi lancerei come un'aquila da quella finestra, atterrerei a piedi nudi sulla rugiada della terra e correrei con loro, sporcandomi gli artigli che non ho.

Ma se un lupo mi notasse, non rinuncerebbe ad un pasto facile.

Però che bella morte sarebbe: alquanto poetica.

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