XXIV

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"Vado a casa di Adham, non c'è bisogno che mi veniate a prendere a scuola."

Digito velocemente il messaggio e premo invio.

Il lupo aldilà della finestra tiene lo sguardo incollato al mio profilo: riesco a percepire la carezza dei suoi occhi come il tocco di un polpastrello, come un flebile raggio di sole che mi sfiora timidamente.

Sento il ticchettio dell'orologio scandire ogni secondo; ogni rintocco è un'eternità. Aspetto con ansia, sforzandomi di non guardare fuori per evitare che qualcuno si accorga dell'enorme creatura grigia a pochi metri dalla scuola. Percepisco l'angoscia di Eva ricoprirmi le spalle, e la rabbia di Leonida espressa in continui, sconsolati sbuffi d'ira.

Cinque minuti.

Solo cinque minuti al suono della campanella. "Solo".
Conto i rintocchi: sessanta, centoventi, centottanta, duecentoquaranta.

Sento lo stridire degli artigli di Eva lasciare profondi solchi sul banco coperto di antiche e nuove scritte adolescenziali. Il digrignare dei denti, i sospiri appesantiti dalla collera, il ticchettio nervoso dei suoi lucidi tacchi a spillo.

Manca solo qualche secondo: mi affretto a riempire lo zaino della mia roba, mi infilo il cellulare nella tasca posteriore dei jeans scuri e tengo il sedere leggermente rialzato: proprio come quando si monta a cavallo o, ancora meglio, proprio come quando i corridori attendono il fischio d'inizio.
E quel fischio non tarda ad arrivare: la campanella squilla e gli studenti fanno quasi a schiaffi per fiondarsi nei corridoi lerci ma che, comunque, odorano di varechina.

Scivolo nelle fessure tra i corpi e mi faccio largo nella folla urlante, bestemmiante, maleodorante.

Muovo qualche passo a fatica, raggiungo la porta d'uscita e mi sento tirare indietro da uno strattone ai capelli. Cado a terra e per poco non mi becco un calcio in faccia da un ragazzo che si affretta a raggiungere l'uscita.

Alzo la testa massaggiandomi la cute indolenzita e trovo le lunghe gambe di Eva, la sua vita stretta e il suo sorriso di fuoco: «Ops, scusa!»

Stronza.

Stringo gli occhi in due fessure e faccio per alzarmi, ma i ragazzi che si spintonano mi ributtano a terra.

Intravedo Adham avvicinarsi: «Va tutto bene?» chiede, offrendomi l'appoggio della sua mano intanto che lancia un'occhiataccia alla serpe bionda.

Eva si allontana con soddisfazione, ancheggiando nella sua gonna striminzita.

«Ce l'ha con me.» affermo, spolverandomi i pantaloni.

«Buon giorno! Te ne accorgi ora?» ribatte lui, con sarcasmo, «La domanda è: perché?»

Già, perché?

Mi chiedo, nonostante abbia perfettamente intuito la risposta: Akil.

Scrollo le spalle e raccolgo lo zaino: «Sarà invidiosa!» esordisco ironicamente, indicando la mia intera figura.

Adham piega la testa all'indietro, lasciandosi andare a una sonora e profonda risata. I suoi denti perfettamente bianchi luccicano sotto la luce fredda e smorta del corridoio.

«Ti faccio ridere, eh?» lo colpisco su una spalla, «Beh, ci vediamo!» dico, voltandomi per incontrare Akil nella foresta.

«Oh, ferma! Dove vai? Non aspetti che arrivi tuo padre?»

«Uhm, no... ecco, devo raggiungerlo dal meccanico, quello proprio in fondo alla via.» arrangio in fretta una scusa.

«Ti do un passaggio.»

«No, grazie. Ho voglia di farmi due passi.» rispondo spingendo la porta.

«Au revoir!» mi urla dietro.

Circondo la scuola a passo svelto, punto gli occhi dove solo qualche minuto prima si trovava il lupo, mi guardo fugacemente intorno e mi infilo nel folto della foresta.

Mi lascio graffiare il viso da sporadici rami che mi accolgono con le loro sterili carezze. Calpesto il terreno umido, coperto di foglie e chiazzato di muschio verde.

«Akil?» chiamo, incerta.

L'incrinarsi di qualche ramo e lo scroscio di foglie secche: il lupo grigio compare tra un paio d'alti alberi affusolati; la corteccia, incisa dalle corna di qualche cervo, mostra delle ferite dalle quali cola la verde linfa lattea.

Sento il cuore gonfiarsi d'elio, farsi più leggero, volare nella gola e convincermi a lasciarlo uscire dal corpo. Gli occhi ambra mi penetrano, mi analizzano, mi studiano: sono nuda.

Akil allunga il suo muso affusolato, mi annusa con naturalezza muovendo la testa in su e in giù, si sposta di qualche passo sulle sue grandi, possenti zampe e struscia la testa contro il mio fianco. Mi viene quasi da pensare a Mr Dunky.

Porto la mano tra il pelo fitto della sua testa e stringo, come a volerlo trattenere.

Il lupo piega il capo e si accuccia sulla pancia. Mi inginocchio accanto a lui, sperando di riuscire a trovare un modo per comunicare: non voglio che torni umano, voglio quella creatura maestosa e rassicurante a tenermi caldo con la sua pelliccia.

Akil fa un cenno verso la sua schiena, un movimento abbozzato per indicarmi di salire sulla sua groppa.

Non me lo faccio ripetere: salgo a cavalcioni, mi sdraio in avanti aggrappandomi al collo e aspetto che vento e colori dell'autunno sferzino tutt'intorno a noi.

Due creature del bosco.

Un'unica cosa.

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