SETTE

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Fuori dalla classe, attraverso le finestre, riesco a vedere la neve che continua a cadere imperterrita. Se chiudo gli occhi posso immaginarla ricoprire l'intero pianeta, nascondendo ogni problema e timore. Seppellendo ogni errore.

Porto lo sguardo in fondo all'aula: Leonida mi fissa con un ghigno animalesco, bestiale e crudele. Nel blu metallico dei suoi occhi lampeggia la consapevolezza di qualcosa di orribile, qualcosa che fingo non sia mai accaduto.

M-e-l-a-n-i-e sillaba muovendo le labbra sottili.

Volto la testa dall'altra parte reprimendo una lacrima calda e salata che traballa ostinatamente all'angolo tra le ciglia.

«Signorina Leiden?» mi chiama la professoressa con un accenno di nervosisimo.

Alzo di scatto la testa, sperando che il brusco movimento non convinca la lacrima a scivolare sulla guancia, scolpendo il suo passaggio sulla pelle.

«C'è forse qualcosa che non va?» chiede, improvvisamente più calma, quasi apprensiva.

Dev'essere scivolata.

«No.» rispondo in fretta: la voce mi esce gracchiante, stridente contro le pareti della gola.

La cosa sembra divertire la classe che scoppia in una risata generale. Eva, in fondo all'aula, se ne esce con una battuta che non riesco a sentire ma che incrementa l'ilarità del momento. Mi volto a guardarla e lei è lì, pronta a trafiggermi con i suoi occhi verde smeraldo. Verde bile. Alza la mano in cenno di saluto e mi schiocca un bacio provocatorio.

«Smettetela!» s'intromette la professoressa, «Tutti quanti!»

La classe ammutolisce, ma nessuno si premura di cancellarsi dal viso quell'espressione divertita che mi fa stringere lo stomaco in una morsa d'acciaio ardente.

Cosa faranno quando scopriranno tutto?

«Se vuole andarsi a rinfrescare, le firmo il permesso.» propone l'insegnante.

«Sto bene.» affermo con decisione.

«D'accordo, allora proseguiamo con la lezione. E cerchi di rimanere concentrata.» il tono di nuovo duro e severo, «Dicevamo: la formula per ricavare l'area del cubo è...»

In fondo all'aula, Leonida continua a fissarmi divertito. Il gomito poggiato sul banco e la guancia sul palmo della mano. La maglietta nera a collo alto fa risaltare la figura snella, longilinea e sottile. Tutto, in lui, urla "pericolo", soprattutto quegli occhi penetranti. Sembra uscito da uno di quei racconti creepy che girano su internet. E quel mostro conosce il mio segreto. Non che sia davvero un segreto, in fondo nella mia vecchia vita chiunque conosce quella storia. Ma qui, in mezzo ai boschi, nessuno sa chi sia Melanie Leiden. Per ora.

Al suono della campanella corro in fretta al mio armadietto, prima che qualcuno torni a prendermi di mira. Sono sul punto di rimettermi lo zaino in spalla che qualcuno sbatte lo sportello, facendo scattare la serratura.

Leonida è poggiato alla schiera di armadietti, tenendo le braccia incrociate al petto.

«Melanie!» mi saluta con entusiasmo.

Mi guardo nervosamente attorno.

«Oh, scusa. Dovrei tenerlo per me?» chiede con sarcasmo, portandosi una mano davanti alla bocca.

«Dahlia.» ribatto, costringendomi a mantenere ferma la voce.

«Non ti ha insegnato nessuno che mentire porta all'inferno? Eppure, tu hai tutto l'aspetto di un angelo. Certo, se si sapesse la tua storia nessuno crederebbe nella tua purezza.»

Ma...

«Eh sì, dolcissima Melanie. Ti ho cercata su internet e i risultati della ricerca sono stati tutti piuttosto interessanti.» aggiunge, fingendo disinteresse intanto che si analizza le unghie.

Un conato di vomito mi costringe a piegarmi in avanti.

«Attenta a non rovinarmi le scarpe!» esclama scattando indietro.

Ma che hanno tutti, con queste maledette scarpe!

La nausea si blocca, lasciando il posto a un profondo e intollerabile senso di pesantezza all'altezza del petto. Un fastidio talmente forte che fatico a respirare.

Leonida mi afferra per il bavero della felpa e mi appoggia al mio armadietto: «Oh, no. Tu non sverrai.» sibila a denti stretti «Da adesso in poi dovrai fare tutto ciò che dico, sono stato abbastanza chiaro?»

Alzo lo sguardo sui suoi occhi di vetro. Sono freddi, cupi, vuoti. Allunga un dito alla mia gola facendomi scivolare l'unghia sulla pelle. Un brivido di terrore mi si irradia nella schiena quando percepiscono l'affilatura dell'artiglio.

Bruscamente, Leonida viene scagliato contro la parete dalla parte opposta. In una mossa fulminea, un ragazzo dalla capigliatura bionda gli assesta un pugno allo stomaco.

Quando si volta a guardarmi, mi si blocca il sangue nelle vene.

I suoi occhi gialli, ambrati, mi riportano alle notti passate davanti alla vetrata della mia stanza nella disperata ricerca dell'aquila.

Gli occhi sono proprio quelli.

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