XXV

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Luce bianca che riflette sulla spessa coltre di nuvole cineree. Una luce fastidiosa più del sole diretto; troppo chiara, troppo luminosa, troppo opaca. Sembra quasi di aprire gli occhi dopo averli tenuti aperti nel cloro delle piscine.

Ma in confronto al paesaggio che mi si apre davanti, quel fastidio è solo un piccolo, tollerabile dettaglio.

Dalla rupe coperta di edera e muschio, si allarga la vista del panorama mozzafiato: giù in fondo, a chilometri di distanza, un enorme lago bianco che riflette il manto di cumuli nel cielo; tutt'intorno, fitte foreste scure macchiate di rosso qua e là; al lato del lago, una cascata che scorre in tutta la sua forza nel fiume, lo stesso che attraversa serpeggiando il paese. Da qui, è perfino possibile udire il lontano scroscio dell'acqua che precipita per poi schizzare in aria in tante piccole gocce, sempre più piccole fino a confondersi col pulviscolo.

Intorno a noi una grotta di rami di pino, una fitta dimora d'aghi verdi e vivi che odora d'autunno. Sembra quasi che respiri.

Akil mi lascia scivolare via dal suo morbido manto, chinandosi leggermente di lato. Indietreggia di qualche passo e si alza sulle due zampe: la pancia bianca gli si apre, le costole si deformano, il pelo si ritira e il muso si schiaccia. Un guaito e Akil è di nuovo nella sua forma umana. I capelli biondi sporchi di terra, il tremore del corpo e la pelle color pesca.

Osservo il suo profilo distendersi dopo l'acuta fitta di dolore. Fruga dietro un masso e tira fuori una tuta nera che indossa subito dopo.

«Eva è il serpente, non è vero?» esordisco.

Akil annuisce, non mutando la sua espressione rilassata. Quasi si sentisse in pace col mondo.

«E ce l'ha con me perché tu sei il mio Totem?» ancora quella parola, sempre più facile da formulare ma comunque strana, quasi che la parola stessa contenga del magico.

«No, è un po' più complicato di così.» risponde, la voce calma e solenne.

Con i piedi nudi sfiora il terreno vivo e raggiunge il baratro della rupe. Si siede sul bordo e lascia penzolare le gambe nel vuoto, proprio come faccio io dalla finestra della mia stanza. Facevo.

È strano parlare con lui così, come se nulla fosse. Lo raggiungo e mi siedo al suo fianco: sembra strano anche trovarmi qui con lui, sulla cima del mondo in compagnia di un lupo, aquila, cervo. Ma se ci penso bene, in realtà non c'è nulla di strano in questo. Con lui posso essere Dahlia, posso essere Melanie. Posso essere nessuno e la cosa non sarebbe un problema.

«E allora?» lo incoraggio a proseguire.

Gli occhi fissi sulla forma della sua bocca, sulla curva del collo, sul pomo d'Adamo che si muove su e giù. Una vista neanche minimamente paragonabile a quella che si estende aldilà delle mie gambe a penzoloni, che ormai sembra quasi obsoleta al confronto del morbido profumo di Akil.

Akil sorride della mia curiosità e piega la testa verso il basso; si inumidisce le labbra e continua: «E allora, Eva è una persona dal carattere molto... suscettibile.» dice, cercando la parola più adatta, «È testarda, impulsiva e totalmente incosciente. È un errore

«Un errore, dici?»

«Si, mi rendo conto che sia un'affermazione difficile da capire. Ma nel nostro mondo esistono delle regole e lei prescinde a tutte queste.»

Sento la curiosità pungermi dietro la nuca, fomentata da quel "nostro mondo", come se i Totem esistessero, si muovessero, respirassero in una dimensione a parte.

Lo sguardo incollato ai suoi occhi, ad attendere che continui, fa nascere sul viso di Akil un sorriso quasi paterno. Come un Dio può guardare una propria creatura.

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